Tutta questa discussione sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che per fortuna almeno per ora è stata stoppata dal PD, alimenta una riflessione che non può conchiudersi nel confronto, pur importantissimo sulla riforma del mercato del lavoro. Certo il lavoro, come ci rammenta la Costituzione è  il primo fondamentale diritto su cui è fondata la nostra convivenza, ma oggi alla luce di come è cambiata la società sostanziale italiana, come leggere questa affermazione? In primo luogo quando i diritti si difendono si perdono, quando si promuovono ne fanno scaturire di nuovi, e questa lezione dovrebbe essere tenuta a mente sia da parte delle forze politiche e da questo strano governo tecnico e sia dai sindacati. continua a leggere Limitarsi alla visione difensiva di un diritto acquisito senza collocarlo nel contesto rischia di rendere la battaglia di retroguardia, attaccabile da ogni versante politico in una polemica che punta strumentalmente a tutelare di più i precari e a togliere “privilegi” a chi gode degli effetti dell’articolo 18. In un qualsiasi altro paese occidentale questa discussione sarebbe vissuta come bislacca per una ragione essenziale: non si individuano nuove tutele in contrapposizione con quelle già ottenute, al limite ci si avvia a una armonizzazione delle regole. Una parte della discussione è occupata dalla proposta Ichino, che nella sostanza dice: contratto unico per tutti a tempo indeterminato, possibilità di licenziamento più libera superando l’attuale articolo 18,  tutele per i licenziati che dovranno gravare anche sulle imprese, strumenti di formazione per reinserimento lavorativo ecc. Se vivessimo in una democrazia matura e eguale su tutto il territorio nazionale, tale proposta sarebbe da valutare con attenzione, cercando di migliorarla. L’Italia non è un Paese normale ed è abitudine delle classi dirigenti, che siano politici, imprenditori, tecnici, dimenticarselo. Dall’altra il sindacato, per fortuna meno la Cgil, mantiene una visione settoriale di difesa strenua delle conquiste, e come ci dice la storia recente, costruisce linee Maginot, via via aggirate da governi e imprenditori, che agiscono impunemente grazie allo stordimento e  la sfiducia sociale.  La riforma del mercato del lavoro, essendo strategica non solo per uscire convintamente dalla crisi, non può essere pensata a se stante, per questo la proposta Ichino  è debole e passiva rispetto all’intera materia dei diritti e doveri sociali, quindi, anche per nei confronti di una moderna e concreta proposta sui diritti umani e civili. Non convincono le parole dei vari Bonanni che per posizionamento di potere  hanno in questi anni sostenuto la visione anti sindacale dei governi Berlusconi; tantomeno convincono il ministro Fornero, né per adesso i partiti del centro sinistra. Il tema dell’efficacia degli strumenti che governano il mercato del lavoro, che non può prescindere  dall’illegalità e il lavoro nero, dall’assenza sostanziale di tutele dei giovani in aziende che hanno migliaia di addetti, non può essere disgiunto dalla qualità della democrazia e delle libertà. Allora se questo governo, con la sua articolata e dissonante maggioranza parlamentare vogliono mettere mano al sistema Italia, la risposta politica è che non lo possono fare. Né Monti, né, ce lo si conceda, Napolitano, possono pensare che al netto di misure devastanti quali quelle approvate, cui seguiranno altre, si possa poi procedere a ridisegnare lo Stato italiano in assenza di un mandato popolare, così come è ben scritto dalla Costituzione. Di strappi se ne sono già fatti troppi in questo periodo eccezionale, e attenzione a non sottovalutare la retorica emergenziale che nasconde la volontà di far passare provvedimenti cari alle classi dominanti. No, la democrazia per noi non può funzionare così. Per queste ragioni la discussione sull’articolo 18 appare una scusa per mettere mano a un intero sistema regolatore, che potrà ampliarsi anche in altri settori (già si avvertono i primi rumors sul Servizio Sanitario Nazionale…). Con i diritti non si scherza, tocca ad alleanze politiche ben delineate (il terzo polo in questa situazione ci sguazza, ma certo non possono esser Casini, Fini e l’inutile Rutelli a decidere su un’opinione pubblica che gli attribuisce a malapena un 15 per cento) avanzare proposte precise da sottoporre al giudizio degli elettori. Il prima possibile, cercando, per quanto riguarda il centro sinistra, di individuare il tema dei diritti come pilastro essenziale per la fuoriuscita dalla crisi.

di Aurelio Mancuso

settimanale gli Altri 30 dicembre 2011

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