di Aurelio Mancuso

Il riscatto della dignità del Sud passa attraverso l’interruzione del circolo vizioso, ormai secolare dell’assistenzialismo statale, che attraverso leggi speciali, casse del mezzogiorno, articolazioni regionali e degli enti locali hanno distribuito a pioggia decine di migliaia di lire e ora miliardi di euro, dispersi nel nulla o meglio che sono stati bruciati per mantenere un sistema di potere clientelare che si presenta con la chiara e drammatica faccia dell’abbandono di un pezzo del territorio italiano. Chi oggi invoca commissari per la Sicilia, dopo la scoperta di voragini del bilancio regionale, cede ingenuamente a un comprensibile moto d’intima ribellione, ma non guarda alla complessità della situazione. Il primo colpo strutturale a un andazzo che si alimenta di sfruttamento e distruzione delle risorse, comandato dal nord, e dall’altro del mantenimento pressoché generalizzato, a parte alcune fasce di popolazione che hanno avuto la forza di riscattarsi, di un regime di sottomissione delle persone, è la completa distruzione della rete d’istituzioni, enti, consigli di amministrazione, società inutili, che si prefigura come una vera e propria diffusa metastasi. continua a leggereOgni altro intervento assistenziale, ogni mantenimento dello status quo non può che alimentare e ampliare il cancro che inaridisce terre, espropria la libertà sociale e civile, rende compartecipi le società del Sud, che non nutrono speranza rispetto a un cambiamento troppe volte vagheggiato e mai realizzato. Facile ricordare che la colpa è di tutte e di tutti, che la classe politica, economica, religiosa del Sud si è resa protagonista delle peggiori nefandezze, che troppe poche voci, eroi, associazioni cattoliche e preti, politici puliti e coraggiosi, imprenditori seri e determinati, hanno saputo reagire. Ha ragione il Gran Maestro della Massoneria italiana quando alcuni addietro diceva: “Al Sud non si può più sbagliare. Basta con le politiche dell’assistenzialismo e degli interventi a pioggia, che puntualmente finiscono sempre nel cortile di qualcuno: c’è bisogno di un grande progetto per il riscatto del Mezzogiorno. Una rivoluzione che punti su giovani, cultura, legalità e scuola: solo così si potrà celebrare davvero l’Unità d’Italia”.  E se il ministro Passera si appella a una razionalizzazione delle risorse riservate al Sud, non una loro diminuzione, allora bisogna interrogarsi cosa questo possa significare, a iniziare appunto nel radere al suolo privilegi, truffe, pensioni rubate, mantenimento d’inqualificabili piante organiche che giustamente creano disgusto e avversione da parte di un’opinione pubblica oggi così colpita dai privilegi della casta. Che cosa servono oggi per il nostro Paese 8.000 e più Comuni? Quando di questi la gran maggioranza rappresenta piccole comunità e spropositati costi di gestione che al Sud diventano paradigmatici della corruzione, dello scambio elettorale, del malaffare diffuso, del foraggiamento di tutte le mafie? Va bene il taglio delle province, ma il vero tema sono le istituzioni di prossimità che sono macchine del controllo sociale, della distribuzione truffaldina di risorse, dei cosiddetti favori che dovrebbero essere invece diritti. Un’altra assurdità sono le specialità statutarie al Sud, come al Nord, che ha prodotto delle mostruosità decennali, rendendo possibile la permanenza di una classe politica pingue dei propri titoli onorifici e di stipendi abnormi, che per mantenersi sempre eterna ha bisogno di sudditi, non di cittadini. Ripensare al Sud, certo significa mettere in campo strumenti nazionali, tra cui per esempio il reddito garantito, che permetterebbe nel meridione di sottrarre milioni di giovani all’immorale scelta tra il ricatto di un posto inutile pubblico ottenuto per concessione del potente del luogo o l’arruolamento nei sistemi complessi delle mafie, sappiamo che entrambe le scelte fanno parte di un unico sistema, di cui bisogna potersi emancipare. Agli strumenti economici e strutturali, portati avanti con piglio deciso e non sottostando alla palude delle attenuazioni degli interessi politici, va accompagnata anche un’esortazione rivolta alle popolazioni del Sud, in special modo ai giovani e alle ragazze che sono la vera speranza, a fuoriuscire dall’indolenza della rassegnazione e dell’adesione passiva a modelli, certo invasivi e trasmessi da troppe generazioni, di permanente emulazione. Esiste già un Sud con la schiena dritta, che anche al di fuori della retorica dei professionisti dell’antimafia, pratica nei fatti il riscatto, la non collaborazione con un sistema dei partiti da estirpare e rifondare, la volontà di essere testimoni nella quotidianità per essere prezioso concime che faccia germogliare zagare e rosmarini non infettati dalla decomposizione che avanza. Per aiutare queste realtà a divenire il motore che cambia davvero il Sud (naturalmente questo vale anche per il Nord) c’è bisogno di normalità, di rifiuto di ogni straordinarietà, di ogni sussidio, privilegio, contributo che suoni come l’ennesimo contentino o peggio modalità perché nulla cambi. Dal Sud e non per il Sud bisogna agire, il resto è tutta melassa demagogica che continuerà a mantenere nel sottosviluppo economico e nel vassallaggio politico e sociale, una terra, che condivide con altre aree del mondo schiacciate dai regimi autoritari, l’incapacità di essere davvero padrona a casa propria, perché le risorse di cui potenzialmente potrebbe avvantaggiarsi, disturbano potentati economici, baronie politiche, mafiose satrapie.

Venerdì 27 luglio 2012 settimanale gli Altri

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