n° 3 Rivista Outlet trimestrale in edicola dal 15 febbraio

di Aurelio Mancuso

La libertà è come una fastidiosa pustola che ti ricorda che qualcosa nel tuo corpo ribolle sempre. Ne vorresti far a meno, ma per effetto degli agenti esterni e interni è sempre lì inesorabile a suscitare raspamento intellettuale e fisico. Parola sovraesposta alle mode degli ultimi decenni, la libertà la trovi nel fustino del detersivo per lavatrici come negli articoli di Saviano, senza che tu l’abbia voluta richiedere ti sbatte la sua presenza inesorabile e sempre più consunta. Lo sfoggio di se stessa, nella rete come nei programmi di partito si compiace della sua svalorizzazione che ne fa una fede pret à porter saporita come le verdure che si acquistano all’Esselunga. Quel tuo vibrare intimo, dedicato solamente nei pochi e seri momenti di onanismo, non gli restituiscono la sapidità della passata conquista, perché anche il tuo corpo adolescenziale, come solcato dal tempo, la esalta nell’orgasmo da Ikea, carino, contenuto, ben proposto. La libertà è un piacere che nel tempo nostro è il lusso di abbandonarla e riprendersela quando se ne ha voglia, negandola a se stessi nelle carezze profonde degli amanti maleducati, da poter cacciare via l’istante dopo la risistemazione delle lenzuola.continua a leggere Gli occidentali in gran parte non sanno più cosa prevede la parola libertà, bisogna andare nei campi di concentramento africani, dove si ammassano milioni di disperati denutriti, arsi dal sole, puzzolenti e aggrediti da ogni genere di infezione, per vedere aleggiare la libertà. Questo vale anche per le vagine violate dall’infibulazione come per i corpi congelati nelle steppe russe dei dissidenti di tutte le recenti satrapie nate dopo l’implosione dei sistemi comunisti. La libertà non alberga da noi, per la ragione stessa che quando si pensa di averla conquista si è già persa nel conformismo, nelle rassicurazioni dei benefici del parcheggio assicurato, come nelle precarietà lavorative consumate nei discount. La libertà o puzza o non c’è. Intendiamoci l’igiene personale è conquista civile se non adeguata, perlomeno potendola praticare, sintomo di buonsenso cui per esempio molti maschi dovrebbero dedicare più attenzione. La puzza che è necessaria è quella che rinfresca il sudore del pensiero rammentandogli sempre che nessun coccolino profuma senza censurare l’odore acre della tua individualità. E il primo segno di riconoscimento che siamo assenti alberga nella medioevalizzazione della nostra modernità, che ha paralizzato ogni evoluzione della conquista, il combustibile senza cui la libertà diventa conformismo. Stracolmi di creme rassodanti, leviganti, esfolianti ci concentriamo sul nostro corpo come se fosse fuori da noi, come se lo guardassimo come un’entità da tenere sotto controllo, per l’incontro con altri corpi con cui congiungerci con la depilazione rinnovata e il risciacquo intimo adeguato. Riti antichi per ritardare la putrefazione, innanzitutto emotiva, sono riproposti in versione 2.0 per la nostra consolazione, per lenire quel rapporto tra nascita morte, libertà e proiezione della sottomissione, cui cerchiamo di sfuggire tramandandoci nelle generazioni la gnosi. Per questo abbiamo orrore e volontà di distacco rispetto alle povertà, morti, disastri demografici del mondo in cui non viviamo, di cui comodamente assistiamo le vicende dalle nostre vite da soap opera. Distaccarci dalla libertà, quella vera, è un’esigenza che ci viene dal profondo, che ci è stata insegnata prima con la repressione sessuale, oggi con le incursioni nel virtuale. La libertà è sempre lì che ci attende, come la Signora, ma non la percepiamo perché il nostro completo, senziente e di carne, ci complica la vita, ci obbliga a misurarci con ogni defecazione, umore vaginale e seminale, brutto pensiero, incertezza emotiva. L’ipersensibilità, il ragionare partendo dal nostro corpo, è stata una avventura sperimentata dalle storicamente più recenti generazioni di donne, che poi si sono rinserrate nel minoritarismo, non tentando (forse per ora a ragione) seriamente e robustamente di abbattere il platonismo, da cui nell’interpretazione di Sant’Agostino  tutti i regimi e machismi del mondo hanno tratto forza. Tra le stupidaggini più popolari che ancora si devono ascoltare c’è il detto “la tua libertà finisce dove inizia la mia”, è difficile in una frase così corta trovare tante imbecillità concentrate. Il tono è quello della maschia sfida, “la tua libertà” non implica il riconoscimento di una condizione, ma la supposizione che possa esistere, quindi, un tempo e un luogo aleatorio e tutti da giustificare. Il centro sta naturalmente nel “finisce” come a dimostrare che le libertà non si possono incontrare, devono limitarsi in uno spazio preciso, in una sorta di aurea invisibile, di cui i confini sono stabili dalla convenzione delle relazioni. E per concludere quel “dove inizia la mia” è la prigione di cui si getta la chiave. Quella “mia” libertà è gelosia, è la proprietà privata dei sentimenti, la fortezza del bel piccolo mondo antico del focolare, con angelo annesso. Ecco dove ci siamo persi la libertà, nelle nostre trionfanti autocensure e limitazioni mutuate dai paletti dell’assenza di fisicità, amore e sentimenti che s’intrecciano, si slegano, procurano sofferenze e grandi passioni, dentro le libertà. E’ sul distacco, il rifiuto del contatto e degli umori, che si alimenta la metastasi della gnosi. Il fanatismo per il virtuale e i rapporti di amicizia e di amore via chat sono l’esaltazione delle sempre verdi teorie del distacco tra corpo e spirito, tra l’empietà della carne e la purezza dell’anima,  l’avversione profonda della libertà. Si può girarla in un modo o in un altro, ma la libertà, emancipata dalla ricerca della felicità (su cui varrebbe la pena ritornare in altra riflessione) è oggi assai più complicato riconoscerla, quindi, avviare un percorso personale, anche collettivo di conquista. Partendo da se, e non confondendo le libertà intime, sensuali e sessuali, importanti e su cui torniamo, come esaustive della grande conquista, come facciamo nel nostro tempo a riconoscere elementi di una critica intellettuale e fisica di riferimento? Anche nello sperdimento, nell’inazione si possono godere tempi di autonomia profonda. C’è chi ritiene, dalle tradizioni native americane ai movimenti beat, che proprio l’incoscienza, l’esperienza del distacco e dei viaggi favoriti dalle sostanze, siano condizioni vere di libertà, perché il porsi oltre la razionalità consente al corpo e alla mente di elevarsi, di separarsi dalle miserie del quotidiano. Rifiutando ogni tipo di giudizio morale, c’è un’obiezione da cui non si può sfuggire, anche in questo tipo di approccio sono insite risposte ancestrali di anestetizzazione (o viceversa con altri tipi di sostanze di esaltazione) dell’io immerso nella potenza (maschile o maschilizzante) sessuale. Ancora una volta la risposta è che la libertà non è possibile se non separando il pensiero dalle pulsioni. Per questo nel nostro impervio cammino di ricerca della nostra libertà (delle altrui è quasi impertinente parlarne), scesi a patto con il contesto, con le difficoltà oggettive e con il richiamo sempre rassicurante dell’autodetenzione o di cessione consapevole ad altrui della propria sovranità, già averne dovuto leggere in questo accidentale articolo (la modestia lasciamo ai mediocri) ci rivela che perlomeno aspiriamo a mantenere o ritrovare condizioni di autodeterminazione cosciente. In ultimo è stato volutamente relegato l’assioma libertà e sessualità (e amore). La libertà nelle pratiche sessuali non alcun riferimento con la fedeltà coniugale, etero, gay, bi, trans, che dir si voglia. E’ come mettere insieme l’esigenza del nutrirsi con la ricerca di un ristorante elegante. Le sessualità sono talmente complesse, imprevedibili, e contrastanti, che esprimere quando ci si trovi in condizione di libertà, è perlomeno puerile. Al netto delle minime regole e consapevolezze del rispetto e delle non ancora date per acquisite democrazie emotive, è libertà anche decidere l’esclusività, o se volete la fedeltà, perché si tratta di una decisione, se assunta in autonomia, personale. La destrutturazione dei ruoli e delle imposizioni clericali e dei poteri, ci avrebbe dovuto aiutare a comprendere un elemento, che nella sua disarmante semplicità ci restituisce la conquista: l’agenda della nostra sessualità è un libro cui gli appuntamenti li prendono  corpo e pensiero sinuosamente ballando abbracciati, regalandosi il piacere delle compenetrazioni, degli sfregamenti, dei baci appassionati, degli intermezzi masturbanti, aperti agli altri con curiosità e riscrivendo in ogni attimo il copione dell’incontro. Libertà non è coppia? Anche questo interrogativo profondo e su cui si arrovellano studiosi da molti lustri, va liquidato con accortezza, ricordando però che nella storia le libertà individuali hanno costruito libertà collettive, quindi, anche nella sessualità e/o nell’amore la sperimentazione del doppio è possibile. Come la ricerca gioiosa di plurime sessualità da vivere in diversi o contemporanei altre persone, così l’esclusività è una scelta, quindi una libertà di cui ci assumiamo la responsabilità. Solo gli imprevidenti pensano che la libertà sia un obiettivo su cui impegnarsi per raggiungere la felicità.  

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