Aurelio-Mancuso-aureliomancusioitdi Katia Ippaso

Bimestrale Alternative per il Socialismo diretto da Fausto Bertinotti

Se l’oggetto del discorso è il Movimento Lgtbq  (Lesb/gay/trans/bisex/queer), allora diventa determinante partire dai soggetti. Perché questo non è un tema qualunque di cui si può discutere astrattamente. Qui ogni ragionamento ha un peso in senso anche fisico, nel senso che ogni parola – che sia essa inventata, abusata, spezzata, glorificata o ripescata dal sommerso e ripetuta fino alla nausea -, ecco, proprio ogni parola in questa vicenda è avvitata alla storia dei corpi, ai vissuti, alle scelte di ogni singolo individuo. Come si fa a dialogare con Aurelio Mancuso, per esempio, presidente di Equality Italia (rete di promozione di tutti i diritti civili), ex segretario ed ex presidente dell’Arcigay (dal 2001 al 2010), giornalista e attivista di area bersaniana, studioso di teologia, gay dichiarato e cattolico del dissenso, senza partire dalla sua stessa biografia, da quel lontano 1994 in cui decise di buttare una piccola bomba nell’ambiente valdostano scrivendo un articolo dal titolo Io minoranza in cui dichiarava di essere omosessuale (e questo avveniva non altrove, nella emancipata Inghilterra o negli States, ma proprio nel suo luogo d’origine e d’appartenenza)?

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«Lavoravo in Valle d’Aosta per un settimanale locale di cui ero il caporedattore – racconta Mancuso  – e decisi di scrivere quel pezzo non senza conflitto. In Valle d’Aosta dire Io minoranza aveva ovviamente un doppio significato. No, non ho mai subito un attacco da parte del mondo politico valdostano, dove allora ero anche noto perché facevo parte della segretaria regionale dell’allora Pds. Prima avevo fatto parte del Pci e prima ancora della Fgci. Ma naturalmente non è stato facile. La parola gay quasi non esisteva allora. Non ci si nominava. Si era così e basta. In alcune situazioni notturne, ci si dava persino il nome falso, perché non ci si riconoscesse poi di giorno. Diciamo che da ragazzo ho vissuto la mia omosessualità nel cerchio di persone che si nascondevano (i militanti estremi erano pochissimi) e ci ho messo molto tempo prima di accettare che si potesse venire allo scoperto. Per esempio, negli anni Ottanta leggevo Babilonia, ma ne contestavo la linea politica, cioè proprio quell’insistere sulla visibilità».

Tuttora, il confine tra visibilità/invisibilità, detto/non detto, accettazione di fatto ma negazione formale, si gioca su trame sottili, dove pubblico e privato si contendono gli spazi in una maniera ambigua, chiamando spesso in causa l’inconscio molto di più di quello che possiamo pensare ragionando sui dati di realtà. E anche su quel piano il discorso si sdoppia, al punto che Mancuso parla di “due velocità”: «La prima riguarda la società. E nella società, il movimento Lgtbq ha vinto. Tutti i sondaggi fatti negli ultimi anni, compresi gli anni bui del berlusconismo, dicono che gli italiani sono pronti da tempo. Il 53 per cento degli italiani si dice favorevole al matrimonio gay, e tra le donne e i giovani (sono dati Istat) si arriva all’80 per cento. Dieci anni fa solo il 30 per cento la pensava così. Quello che è avvenuto in Europa e negli Stati Uniti ha contribuito al cambiamento di opinione. Non è invece altrettanto assimilata la questione la questione delle adozioni. Comunque, in generale l’omosessualità non è più vissuta come forma di emarginazione. Certo, rimangono delle sacche di popolazione ancora molto ostili, ma si tratta più di una forma di una reazione alla cresciuta visibilità del movimento. Faccio un esempio. Nel primo Pride dell’era moderna in Italia, cioè nel 1994, noi eravamo in duemila. Nel 2000, di colpo si arriva a centinaia di migliaia di persone, e ricordo che si era in pieno Giubileo, quindi in pieno scontro. Da lì in poi i numeri salgono. Cosa significa questo? Che c’è stato un cammino e questo cammino ha portato i suoi frutti».

Equality Italia, una lobby trasversale e dirompente

Nella storia del movimento Lgtbq i numeri contano ma poi bisogna sempre contare sempre da capo, perché le questioni sono sfaccettate. Perché mai come in questa zona viene chiama in causa “la funzione dell’immaginario”, nonché la sfera imprendibile, incatalogabile, non domestica, a tratti quasi dis-umana o troppo umana, sfuggente e smisurata, del corpo che si indirizza verso certi comportamenti sessuali che fanno interferenza con qualsiasi altro campo di indagine, esterno e interno.

Un certo tipo di confine è dato, ovviamente dal diritto.  E’ per questo che esiste una rete come Equality Italia, «per combattere le grandi discriminazioni stabilite dal Trattato di Lisbona, quindi discriminazione per età, sesso, orientamento sessuale, abilità, condizioni religiose  e provenienza, previste nel tredicesimo articolo. Noi non vogliamo interventi straordinari, cioè sia uno sportello dello Spi-Cgil o dei migranti che si occupa degli anziani gay o dei migranti. Vogliamo che all’interno di quello sportello pubblico che si occupa degli anziani o dei migranti ci siano operatori preparati ad affrontare anche questo tema. Il lavoro che facciamo è quindi prevalentemente un lavoro culturale e non di diretta assistenza».

Equality Italia è dichiaratamente una realtà di nicchia. Anzi si dice, sfacciatamente, una lobby. Se lo dice da sola prima che lo dicano gli altri. (Mancuso non pratica l’ipocrisia come sistema di vita, a questo punto del ragionamento dovrebbe essere chiaro a tutti) Ma è una lobby trasversale e dirompente, che si è occupata molto degli anziani come dell’età acerba, chiaramente la più delicata.

Alle conferenze di Stuart Milk (il nipote di Harvey Milk, il noto attivista per i diritti dei gay di san Francisco alla cui vita è ispirato il film Milk che nel valse l’oscar a Sean Penn come migliore attore protagonista) ci sono andati molti giovani, è vero, ma non quelli che bisognava convincere, piuttosto quelli che erano già convinti. (Anche se adesso la rete si sta allargando).

Caratteristica, questa, che contraddistingue tutti i movimenti di sinistra, specialmente della nostra sinistra.

Ecco, la sinistra. Arriviamo al nodo cruciale. Come era accaduto nel 1994 In Val d’Aosta, i successivi movimenti politici (e quindi, nel suo caso, fortemente singolari, soggettivi) di Mancuso vengono annunciati a mezzo stampa. Accadde nel 2006, quando Aurelio uscì clamorosamente dal partito con una lettera indirizzata a Fassino: «Ero entrato in polemica con lui sulla questione delle adozioni, perché Fassino disse che due omosessuali non potevano adottare un bambino. Su quello ci fu la rottura. Anche se lui cercò in tuti i modi di recuperare».

Riaccadrà nel 2010, quando il giornalista valdostano decise di rientrare, in un partito che aveva fatto la sua ulteriore metamorfosi, da Ds a Pd: «Ho aspettato che la Binetti se ne andasse. Io non potevo stare nello stesso partito in cui stava la Binetti. Con la Bindi si può ragionare e anche combattere ferocemente, ma con la Binetti era impossibile».

Rientrò per Bersani, al quale indirizzò ancora una volta una lettera, di colori più accesi, con l’entusiasmo di chi stavolta pensava (e ancora lo pensa) di aver trovato finalmente un interlocutore, e che fu pubblicata su L’Unità: «Mi ricordo la prima volta che incontrai Bersani dopo quella lettera. Gli dissi che mai sarei stato zitto,  che non avrei accettato mai mediazioni politiche rispetto alla mia soggettività. E così è stato. Sai una cosa? Bersani è stato il primo segretario del Pci-Ds-Pd veramente sensibile a questi temi. Tutti gli altri, compreso Veltroni (con cui ho lavorato come responsabile del movimento gay per i Ds), non andavano mai al di là di pure dichiarazioni verbali. Parlo anche dal punto di vista programmatico, cioè del coraggio di sostenere queste vicende. Invece Bersani negli ultimi due anni, soprattutto durante le primarie e la campagna elettorale, ha sempre spiegato con grande chiarezza perché era favorevole alle unioni civili omosessuali, il che è una novità straordinaria».

La sinistra più moralista e ipocrita del mondo è in Italia

Ma tutte le lettere hanno un contenuto manifesto e un contenuto latente. E soprattutto a fronte di una lettera che può essere scritta e persino pubblicata, ce ne sono altre mille che non sono mai state scritte né tanto meno sono state pubblicate e che farebbero volentieri un giro di valzer nel teatrino immaginifico di Edgar Allan Poe, accanto alla sua lettera rubata. Cioè lettere di cui potrebbe non essere completamente chiaro il mittente e neanche il destinatario, anche se è nella forma del dialogo che si pongono. Lettere che nel corso del tempo subiscono una trasformazione (nella lettera di Poe la grafia che all’inizio sembra maschile ad un certo punto diventa femminile). Lettere che farebbero crollare un governo. Lettere private. Lettere il cui contenuto deve essere veramente incendiario se (come accade in Poe infatti) non si riesce a leggere un sola parola di quello che c’è scritto.

Lettere che potrebbero dire tutto quello che pensano sulla sinistra italiana nel suo complesso: «La sinistra più moralista e più ipocrita del mondo è quella che sta in Italia. Alimentata da questa voglia di nascondimento, che per fortuna negli ultimi anni si è incrinata….

Noi siamo arrivati fino ad oggi al fatto che non abbiamo nessuna legge. Per colpa della politica. E non per colpa del Vaticano. Proprio per colpa della politica, soprattutto della sinistra italiana che, a differenza di altre sinistre occidentali, non ritiene centrale il fatto che i diritti sociali e i diritti civili devono stare insieme».

Lettere che potrebbero dire quanto è complicato orientarsi nel mondo lgtbq perché qualche volta le minoranze sono le prime a farsi da parte, credendo che ci siano sempre altre priorità per il paese: «In Italia siamo straordinari in molte cose. Una di queste cose straordinarie sta nel fatto che gli omosessuali vivono il loro senso di colpa, la loro omofobia interiorizzata, in maniera molto più diffusa rispetto ad altri omosessuali in altre parti del mondo. In Italia l’omosessualità non è stata mai veramente repressa, se escludiamo l’ossessione di alcuni questori zelanti durante il fascismo. Ma una repressione di massa non c’è mai stata perché non ci sono mai state leggi contro l’omosessualità. Tutto ciò ha fatto sì che gli omosessuali si fossero accontentati di sopravvivere in clandestinità o semi-clandestinità. Per cui ancora oggi ci sono molti omosessuali che sposano donne e accettano di vivere la scissione».

Il problema del Vaticano non è lo Ior ma il Papa Re

Lettere  al papa, sì proprio a lui, scritte da un cattolico del dissenso perché Francesco I ammetta che la linea scelta di una filiazione da Francesco d’Assisi è una linea di azione e di pensiero non eretica, mentre c’è sempre la possibilità di essere più estremi, di lasciare un segno definitivo: «Francesco chiuderà il Vaticano, riprenderà ad alloggiare a San Giovanni in Laterano? Perché il tema centrale non è lo Ior, ma l’esistenza stessa dello Stato del Vaticano con a capo un Papa Re. Già nel Concilio Vaticano II c’erano dei padri conciliari che si chiedevano che senso avesse avere uno stato del Vaticano. Io sono d’accordo sul fatto che la Chiesa debba avere una sua forma di protezione, che non debba subire influenze esterne per la sua missione pastorale…ma altra cosa è l’esistenza di uno Stato vaticano, che è una bestemmia per un cattolico e un cristiano ».

Lettere anche a  Ratzinger nel suo “eremo tedesco” perché si renda conto del terrore puro che su di lui esercitava l’universo Queer: «Ratzinger ha prodotto infiniti documenti contro la cultura del gender, perché sapeva che lì c’è la vera rottura la vera crisi della società così come ce la siamo immaginata negli ultimi duemila anni. Lì si apre una voragine, altro che secolarizzazione. Il queer che è più culturale, dialoga anche con la natura, perché annuncia ogni volta il fatto che tu sei quello che vorresti e potresti essere in tutte le ore del giorno e della notte».

Il Sì di Grillo ai matrimoni gay potrebbe non voler dire nulla

Lettere meno teologiche e più amichevoli anche per Grillo e i grillini perché entrino nel merito di certe questioni che invece abilmente evitano: «Non c’è stato fino ad ora un pronunciamento chiaro. Grillo ha detto che è a favore dei matrimoni gay, ma detta così non significa nulla. E’ anche probabile che Grillo aumenterà il suo successo proprio perché non entra nel merito (cosa che Berlusconi sapeva fare benissimo). La società va avanti e la politica non dà nessuna risposta. Anche per Grillo potrebbe accadere la stessa cosa».

Ma la lettera più bella, Mancuso l’ha scritta già in vari frammenti della sua produzione e parla di una cosa difficile da dire, una cosa che apparentemente non c’entra niente con il movimento Lgtbq e che invece c’entra molto, perché ci racconta l’odore acre del corpo: «Il corpo, nel momento in cui nasce, già si decompone. Già nel corpo del neonato comincia il conto alla rovescia. Naturalmente la retorica familistica, che una volta si chiamava borghese, vuole vedere il bambino lavato e messo nella culla. Ma quel corpo non è uscito fuori così. Questo per dire che l’amare un corpo o fare i conti col corpo, significa osservare che il tuo stesso corpo cambia, si va decomponendo, si rilassa. E noi tendiamo ad accoppiarci con corpi belli ma anche con corpi brutti. Perché l’attrazione non riguarda soltanto il visivo, riguarda anche l’olfattivo, e contempla l’idea che in quel momento hai del corpo dell’altro o del tuo stesso corpo. La lode del profumo del corpo è un errore del femminismo e anche del movimento gay.  Perché se i corpi da ostentare sono i corpi belli e profumati, vuol dire che siamo distaccati dall’umanità. La terra puzza. La stragrande maggioranza dell’umanità puzza. Se uno si convince che vestito e pettinato bene è libero, significa che si è massimamente imprigionato».

Con “Se non ora quando” la donna è tornata al Medioevo

Perché abbiamo immaginato tutte queste lettere con lo stesso mittente e diversi destinatari? Perché la forma-lettera, a cui Mancuso, uno dei nostri intellettuali dis-organici più autentici, ha fatto riferimento nei momenti cruciali della sua non-carriera politica («Non sono neanche un componente di un direttivo di un circolo. Sono un assoluto niente nel Pd»), si presenta come la forma più adatta a raccogliere quel doppio filo di conversazione intima e presa di posizione pubblica, di trama soggettiva/oggettiva, conscia/inconscia, che una materia come questa non può non tenere sempre insieme. Là dove si vuole avere un dialogo, immaginando sempre qualcuno a cui si  parla, e dove il pensiero di chi scrive non può essere interrotto, perché sta cercando le parole più giuste per dirlo, il mondo che abbiamo dentro e il mondo che vorremmo fuori: «Se dobbiamo parlare di me, io ho fatto una scelta di fedeltà consapevole, ma per alcuni decenni ho usato la mia sessualità in modo inconsapevole. E lo rivendico. Perché la sessualità non può essere un calcolo. Si può fare una scelta, ma sono due cose diverse. La sessualità non è catalogabile in un manuale. Esercitare liberamente la propria sessualità può danneggiare, certo, ma è un diritto. E chi decide cosa è bene e cosa è male? In Italia è impossibile uscire da certi schemi. Dagli anni Sessanta agli ani Ottanta – e parlo sia del movimento delle donne che del movimento gay – siamo stati tutti interni al dibattito che ci andavamo costruendo. Non vogliamo dire che non è successo niente. Abbiamo contribuito al cambiamento della società italiana, ma poi ci siamo fermati. Quale novità esce dal movimento delle donne? “Se non ora quando” mi fa orrore. Non voglio dire che mi fanno orrore le donne che hanno dato vita al movimento. Voglio dire che mettere al centro del pensiero femminista la figura della donna come cura e madre, è come tornare al Medioevo. Allo stesso tempo, anche per il movimento gay, dire che si vuole solo il matrimonio è una scelta conservativa. Una cosa è l’unione civile, altra il matrimonio. Naturalmente combatterò sempre per il riconoscimento dei matrimoni , ma consapevole del fatto che si tratta di una eredità religiosa, di cui bisogna liberarsi. Dobbiamo contestare il fatto che si chiami matrimonio il rito civile! Le parole hanno un valore, un valore storico.  Bisogna trovare altre parole, sì proprio altre parole».

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