quando-cera-berlinguer-locandina-qds-620x330di Aurelio Mancuso

I ragazzi non sanno chi fosse Enrico Berlinguer. Con questo incipit si apre il film documentario di Walter Veltroni “Quando c’era Berlinguer” che da oggi venerdì 27 marzo sarà nelle sale di tutta Italia, per poi approdare a giugno su Sky che l’ha prodotto con il contributo del Ministero della Cultura. Le duemila persone accorse all’anteprima proiettata all’Auditorium alla presenza del presidente della Repubblica e della famiglia dello statista comunista, invece sapevano benissimo chi fosse uno dei protagonisti della storia italiana dal dopo guerra fino ai primi anni ottanta. La differenza tra le generazioni dei militanti, persino le più recenti che in qualche modo magari tenteranno di prepararsi un po’ prima di visionare la pellicola, e i giovani italiani odierni è abissale e c’è forse un pizzico di cattiveria da parte dell’autore nell’insistere fin da subito che sarà difficile colmarla. D’altronde la narrazione veltroniana non spiega quasi nulla della genesi politica di Enrico Berlinguer, non contestualizza in alcun modo la sua azione all’interno di un quadro internazionale egemonizzato dai blocchi contrapposti atlantico e sovietico. Il regista da’ per scontato tutta una serie di passaggi che invece non lo sono, visto che proprio la memoria storica è una qualità di cui difetta il popolo italiano. Non è un racconto sufficiente del capo dei comunisti italiani, perché ne mitizza alcuni aspetti e ne dimentica colpevolmente altri. Il continuo ripetere che con lui è morto il Partito Comunista, fa prefigurare un popolo affidato a un solo Conducator, che può in qualche modo ricordare le attuali raffazzonate formazioni politiche, ma che nulla ha a che fare con un’organizzazione e porzione di popolo che pur esprimendo profondo dolore non si sentì sull’orlo dello squagliamento. In questo Veltroni tenta un’operazione comprensibile, ma che suscita perplessità dal punto di vista storico. Senza conoscere cosa avvenne dopo la morte di Berlinguer, con la sciagurata decisione di eleggere come segretario di transizione Alessandro Natta (onesto e colto dirigente), invece di affidare a un giovane il necessario mutamento del PCI, risulta incomprensibile perché negli anni recenti Enrico Berlinguer insistesse con discorsi, ritenuti dai più, come inutili e astruse filippiche, al cui centro c’era la necessità di posizionare le azioni e il ruolo della grande sinistra nella prospettiva di un futuro che sarebbe stato assai differente dalla contingenza. Il Berlinguer “scientifico” che combatté contro gli euromissili (stagione completamente rimossa dal documentario) inseriva sempre il nuovo pacifismo nella prospettiva delle scoperte tecnologiche viste come fatto positivo e allo stesso tempo che ponevano interrogativi nuovi ai partiti, quei partiti troppo antichi e intriganti. Il Berlinguer moderno, curioso, che fece grande fatica a comprendere i mutamenti dei costumi, la rivoluzione femminile (le grandi dirigenti del PCI in questo documentario sono elise, parlano sempre e solo i politici maschi) che però mise a disposizione tutto il consenso popolare dei comunisti italiani per contrastare i referendum contro divorzio e aborto, è presente ma come accade spesso in questo racconto, avulso dai conflitti in atto. Il rapporto tra cattolici e comunisti (perché è assente l’originale e premonitrice esperienza degli indipendenti di sinistra?) non è possibile ridurla al compromesso storico in chiave politicista democristiani-comunisti. Così come la svolta dei comunisti italiani in chiave atlantica ed europeista (proprio in quel 1984 Altiero Spinelli era candidato nelle liste comuniste al Parlamento europeo) non preludevano a un mutamento apertamente socialdemocratico,  ma a una significativa presa d’atto, che “esaurita la spinta propulsiva” della rivoluzione sovietica, l’unica prospettiva era il mare aperto, di cui l’internazionale socialista non poteva essere un attracco definitivo. Se Veltroni ha tentato, tra immagini d’antan e testimonianze postume, di andare oltre il nostalgismo (apprezzabile che la sua ben conosciuta tentazione retorica sia assente in questo film) non ci ha consegnato un Berlinguer critico e come sappiamo assai criticato, non fornendo anche ai più inesperti la panoramica dei conflitti interni. Il PCI non era un monolite, non si affidava anima e core al capo (per questo bisogna insistere che non ci fu mai un rapporto messianico tra militanti e leader). Nonostante il centralismo democratico, (perché non descriverlo?) il Segretario custodiva il centro maggioritario dell’organizzazione e, alla sua “destra” Gerardo Chiaromonte, Giorgio Napolitano, Emanuele Macaluso e altri conducevano una battaglia che a tutti era chiara: far approdare al più presto il PCI nell’alveo socialdemocratico. Nell’altra sponda politica Pietro Ingrao (straziante la brevissima testimonianza nel documentario) spingeva “a sinistra” il partitone, tentando non una via estremista (i giovanotti che oggi affollano alcune formazioni della sinistra italiana non dovrebbero dar credito ai racconti omissivi di certi loro dirigenti) ma l’avvio di un percorso plurale e articolato dell’area comunista. Nonostante tutti questi rilievi, raccomando la visione del film perché rende onore a una delle più grandi figure del Novecento e, il punto di vista di Walter Veltroni, seppur non concordante con altri, è interessante e stimolante. Per i giovani è consigliabile, prima di avvicinarsi a questo racconto di prepararsi un po’, rispetto alla storia italiana che va dai primi anni ’60 fino a quelli ’80, la comprensione dei fatti raccontati nel film sarà più chiara e coinvolgente.

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