sloveniadi Aurelio Mancuso Il Garantista 5 marzo 2015

A meno che non voglia recarsi a San Marino, o come spesso gli sarà già capitato in Vaticano, il senatore Carlo Giovanardi che deve la sua perdurante popolarità per l’ostentata avversione nei confronti dei diritti delle persone lgbt, da ieri se vuole varcare il confine italiano sarà costretto a imbattersi con stati europei che hanno nella loro legislazione o le unioni civili, Austria e Svizzera, o addirittura il matrimonio egualitario Francia e Slovenia. Proprio questo ultimo piccolo stato con circa 2 milioni di abitanti, che dal 2004 aderisce all’Unione Europea, l’altra sera ha approvato a grande maggioranza l’estensione del matrimonio anche alle coppie omosessuali comprese le adozioni. La stessa Slovenia è accerchiata da paesi che hanno riconosciuto in diverse forme i diritti delle famiglie omosessuali: Austria, Ungheria e Croazia. Il voto sloveno non nasce dal nulla, grazie a un governo di centro sinistra determinato politicamente sulla materia e all’esperienza maturata rispetto alla precedente legge approvata nel 2005 sulle unioni civili, il paese ha assunto una decisione, che vede l’avversione feroce delle destre politiche e delle gerarchie cattoliche, che probabilmente promuoveranno un referendum abrogativo. Quindi, con la Slovenia le inferiate della segregazione omosessuale italiana è completata: non c’è luogo al di là dei patri confini dove i diritti siano negati e, solo formalmente per peggiorare la nostra posizione dovremmo mal capitare in Vaticano, dove però al netto dei divieti religiosi, non giungono voci di feroci repressioni nei confronti degli omosessuali imprigionati tra i lussuosi sacri palazzi. L’Italia, è stata la patria tra il settecento e i primi dell’ottocento della tolleranza, invasa dal turismo sessuale di orde di barbari del nord Europa, dove la “sodomia” era non solo vietata ma anche duramente repressa. Con l’avvento della Repubblica, dopo il ventennio fascista che non volle introdurre pene rispetto agli omosessuali perché era impossibile che nella maschia patria erede dell’impero romano (quando la storia appunto è piegata al revisionismo propagandista) potesse esser presente tale patologia, si è distinta per recuperare sui diritti sociali e civili da esser presa ad esempio. Negli ultimi trent’anni vivere nel belpaese è diventato un incubo per i cittadini lgbt. Le coppie che cercano di “scappare” e di trovare almeno conforto nei paesi limitrofi per potersi sposare o unire civilmente, quando tornano in patria son trattati come un problema e, le trascrizioni dei loro matrimoni definitive turbative “per l’ordine pubblico” così come ebbe a scrivere Giuliano Amato e, convinzione confermata nelle circolari di Angelino Alfano. E’ davvero un piacere vedersi elencati insieme agli altri sette stati (Bulgaria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia, Cipro, Grecia) che non hanno ancora affrontato il tema, o come per Grecia e Polonia, forse avvieranno una discussione. Unico paese fondatore e del club dei grandi della Ue, l’Italia, ha eretto una invalicabile frontiera in cui ha incarcerato i diritti delle persone omosessuali confinandoli in un sostanziale apartheid. La responsabilità, a dispetto di un diffuso vittimismo e di pratiche auto flagellanti dentro la collettività e il movimento lgbt, è chiarissima: di tutta la classe politica. Personalmente attendo Renzi alla prova dei fatti: sai mai, che a differenza dei suoi predecessori mantenga la promessa? Lo vedremo a breve quando si inizierà a votare in commissione giustizia del Senato sul testo base delle unioni civili e, se dalle lacrime di ipocrita dolore per le discriminazioni violente ai danni dei gay, così assolutorie per certa sinistra, finalmente si passerà all’assunzione di impegni concreti.

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