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Una firma ci assolverà. Ecco perché l’appello di Snoq piace (anche) ai maschi – Gli Altri

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di Aurelio Mancuso

Noi maschi siamo gli assassini che una volta ogni tre giorni nel nostro Paese ammazzano una donna, nella maggioranza dei casi una moglie, una fidanzata, un’ex. Solo il 10% degli uomini italiani che sono sposati o convivono con una donna, cucina e lava i piatti, il 20% aiuta nelle faccende domestiche. Noi uomini abbiamo plasmato per millenni società a nostra immagine e somiglianza, riducendo in schiavitù fisica e intellettuale miliardi di donne. Ci siamo glorificati nel scegliere logotipi femminili che confermassero la nostra benevolenza e superiorità: solo donne pure assurgono agli altari di tutte le religioni, solo le mansuete e le acquiescenti sono state per millenni tollerate nei luoghi del potere. (altro…)

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Coprite quei corpi di donna!

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“Se non ora, quando”, pensa solo alla maternità?

Di Aurelio Mancuso

La sinistra, il sesso, i corpi seminudi, la mercificazione, il dibattito cresce, le posizioni s’inaspriscono, le “ronde” di “Se non ora quando” aumentano. In questa bislacca estate, tra un governo che c’è e non c’è, le ferie che traballano per milioni d’italiani, spuntano qua e là nel suolo italico reprimende da parte di gruppi di donne o di sindacati in difesa della dignità delle donne e del pubblico decoro. Dopo la ridicola querelle delle vetrine animate del Coin di Milano, ci si è spostati nel ravennate, precisamente a Campiano, dove le donne della rete di “Se non ora quando” e quelle del PD, si sono scagliate contro una serata di spogliarello organizzata da un’associazione di motociclisti all’interno della festa del partito locale. Mugugni, parole di fuoco, non hanno fermato l’esibizione che alla fine ha raddoppiato l’offerta facendo denudare anche un maschio, tal Vichingo con un passato di breve apparizione al Grande Fratello. Come nella migliore commedia all’italiana, la festa del PD trova spazio su un terreno della parrocchia, che non sembra aver avanzato rimostranze per lo spogliarello, niente di più di ciò che accade sulle televisioni italiane: corpi maschili e femminili che tentano di accennare passi di danza, sculettamenti e ansimate, seni, gambe, bicipiti e mezzi culi ostentati, fino alla goffa conclusione. Tanto rumore per nulla? Senza attaccare anche in questo caso un bel pippone agli schieramenti contrapposti, sarà facile rilevare che tutta quest’attenzione sull’ostensione dei corpi lascivi, fa percepire gli organizzatori  come i soliti maschi ingrifati a cui pochi neuroni collegati non consentono di prevedere intrattenimenti dove non sia necessario il voyeurismo,  le donne PD e di “Se non ora quando” come datate e anche moraliste. Entrambe gli schieramenti usano un linguaggio drammaticamente superficiale, che incentra la propria difesa sulla “dignità della donna”. Quella dignità imprigionata dalle teoriche nazionali della rete delle donne nata il 13 febbraio, come elemento costitutivo di un logotipo femminile destinato alla cura soprattutto degli altri, incardinato nel ruolo centrale della maternità. Una maternità giustamente rivendicata e collegata alla precarietà lavorativa, che da una parte genera la paura di avere bambini senza un reddito certo su cui contare e servizi sociali insufficienti, e dall’altra è usata dai datori di lavoro come spada di Damocle. L’insistere con la teorizzazione del corpo femminile come portatore di vita, quindi, anche superiore a quello maschile, consegna questo interessante nuovo movimento delle donne a tre devastanti rischi: il moralismo, la santificazione, all’antisensualismo. A ben vedere tutti concetti fondanti della costruzione dell’immaginario femminile del cattolicesimo clericale e delle altre visioni estremiste delle grandi religioni monoteiste, tutte governate da schiere di maschi che usano da millenni il proprio potere per escludere le donne. Paradossalmente i maschi motorizzati e le donne indignate condividono un altro assunto teorico: mai le nostre madri e le nostre sorelle potrebbero salire su quel palco desnude! Quel coprire, santificare, porre l’accento che la gran parte delle donne non sono come le veline e le spogliarelliste, fa precipitare il pensiero nella negazione della sensualità, delle sessualità, dell’autodeterminazione dei corpi. Il corpo non è merce? Quindi, la merce deve coprirlo, nasconderlo, al limite farlo percepire solamente quando è al servizio della riproduzione. Quando ci s’imbatte nel mito della Madre Terra, delle dee e simili, che nei millenni  ne hanno raccolto il testimone, da Gea a Iside fino a giungere a Maria, s’incontra un assunto uni sessuale, dove alla funzione essenziale della maternità (persino della partogenesi) si collega la mitezza, la sottomissione, in contrapposizione delle figure divine femminili della seduzione e della sapienza, o troppo stupide e pasticcione, o con un brutto carattere. Insomma niente di nuovo. Saremo, spero tutte e tutti d’accordo, che un conto è promuovere politiche, oggi inesistenti, che consentano la libertà di diventare madri (e padri), altro è affermare che la nostra società ha bisogno di più figli. Di figli il nostro mondo non ha bisogno, poiché siamo vicini alla soglia dei sette miliardi di umani, cifra che rapidamente sta consumando tutto quel poco che rimane delle risorse, salvo che anche tra di noi, passi strisciante il pensiero che l’Occidente ha bisogno di più figli. Ma questo sappiamo come si chiama, no? Tornando alle costumanze femminili e maschili, in questa estate capricciosa e gravida di ansie, una parola di meno sulla dignità delle donne e una riflessione in più sulle libertà non guasterebbe per nulla.

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Dopo Siena: non buttiamo le lotte del passato

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Settimanale gli Altri venerdì 15 luglio 2011

di Aurelio Mancuso

La gioia di veder riunite, dopo la grande manifestazione del 13 febbraio, centinaia di donne che hanno cercato di elaborare il lavoro svolto e spingerlo in avanti, mi consente di rilevare alcune questioni che ritengo non rinunciabili. Sul filo logico costituito da precarietà e lavoro, maternità e tempi, rappresentanza e rispetto del corpo e della dignità, le due giornate hanno articolato approfondimenti e ampliato temi, pensieri, proposte. Mi è però sembrato di scorgere vuoti di memoria, soprattutto il tentativo di rimuovere il pensiero carsico, contradditorio, conflittuale del femminismo italiano. La stessa centralità tra lavoro e maternità come paradigmi di un impegno per appropriarsi di spazi e rispetto nei confronti dell’uomo, ha un sapore antico, arretrato, quasi non ci fossero state le battaglie degli anni ’60 – ’80sull’autodeterminazione, che è oltre la dignità, che coniuga l’autonomia del corpo al rifiuto di imprigionarlo esclusivamente alla riproduzione, alla sessualità della strutturazione dei sistemi maschili. Probabilmente c’è la voglia di trovare parole nuove rispetto a termini come patriarcato, machismo, violenza dell’uomo, ma allo stesso tempo non si possono rimuovere questioni essenziali per comprendere ciò che è stato e ciò che oggi siamo. Il giudizio sull’operazione culturale della destra berlusconiana, straordinariamente machista, non può concentrarsi esclusivamente sul prodotto televisivo e commerciale, e mercificante delle veline, perché rischia il moralismo. Ho sentito poche e sottovoce critiche alla sinistra maschilista, sostenuta anche da molte donne di potere. Per fortuna il dibattito ha rotto il silenzio del documento preparatorio nazionale, dalle donne delle città sono stati proclamati i diritti civili, le libertà, il pensiero lesbico, le rivendicazioni sulle unioni civili. Sarebbe bene non solo ascoltarle queste donne, ma correggere il pensiero un po’ chiuso delle premesse. Ultima nota: ma il ruolo storico della gerarchia cattolica e negli anni del berlusconismo, rispetto alla misoginia e alla negazione della libertà proprio non interessa?

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