Settimanale “gli Altri” di Aurelio Mancuso

Come nel ’92 oggi si costruisce il futuro.

Nei primi anni ’90 il ciclone di tangentopoli suscitò nel Paese una reazione fortissima, ricordiamo ancora le monetine lanciate a Craxi e ad altri esponenti politici che furono coinvolti nelle inchieste. L’utilizzo abnorme del carcere preventivo (sarebbe utile discuterne la compatibilità con uno Stato democratico), il tribunale mediatico, il conseguente crollo di quasi tutti i partiti della prima Repubblica, ci regalarono poi,  la discesa in campo di Silvio Berlusconi, che sentì il dovere di non consegnare l’Italia ai comunisti, di difendere i suoi e altrui ampli interessi, di riciclare grandi porzioni dei vecchi partiti nelle fila di Forza Italia. La forza della denuncia pubblica, la volontà di pulizia furono il motore su cui si mosse un indubbio cambiamento epocale, di cui ancora oggi si discute a fondo gli effetti negativi e positivi. Il lungo viale del tramonto dell’era di riapre la fase dell’indignazione, che oggi ritrova il senso di una battaglia contro la “casta” politica, un po’ furbamente alimentata anche da altre “caste” ben più potenti ed economicamente forti. Il tema non è Berlusconi, di cui gli italiani conoscono i tanti vizi e le fievoli virtù, e pur essendo coscienti di questo gli hanno accordato fino a poco tempo fa un consenso immenso. La questione centrale continua ad essere l’incapacità degli italiani di impegnarsi davvero per costruire uno Stato con regole e comportamenti adeguati. Certo in tempo di crisi l’assalto ai castelli dorati dei feudatari della politica italiana è comprensibile, persino commovente, la pancia davvero brontola e la testa impazzisce nel constatare che pochi hanno tantissimo e troppi non riescono ad arrivare a fine mese. Come stupirsi, quindi, che la rabbia monti di nuovo? Le inchieste su quanto costa la politica e le istituzioni ormai si sprecano, perché come avviene in qualsiasi ondata di odio nei confronti dei privilegiati, non si va molto per il sottile e si operano vistose omissioni. Quasi nessuno parla della burocrazia pubblica e degli stipendi e pensioni esorbitanti degli alti dirigenti. Nessuno, guarda caso, parla di quanto costa all’Italia, mantenere privilegi e finanziamenti a pioggia alla chiesa cattolica (2-3-4 o di più miliardi all’anno?). Molti dei privilegi ai politici vanno aboliti, vanno portati alla decenza stipendi e cancellati migliaia di inutili enti e istituzioni intermedie. Ma la grande riforma non può riguardare solo la politica, dalla società deve provenire un messaggio di buon senso e di presa in carico di una analisi impietosa degli sprechi in tutti i settori dello Stato, tra cui voce rilevante il grande bubbone dell’assistenzialismo, delle pensioni facili, dei contributi. In Italia continua a coesistere da secoli l’intreccio tra assenza di diritti certi e l’elargizione di prebende ed elemosine, così gradite a una fetta rilevante della popolazione, senza dimenticare che le mafie le cui ramificazioni si espandono in tutto il territorio nazionale, nella pubblica amministrazione come nell’imprenditoria privata, si alimentano proprio per mantenere debole lo Stato. Per tutte queste ragioni i prossimi sei mesi potranno cambiare davvero la storia del nostro Paese o tragicamente non attuare la riforma politica e sociale. Ha ragione Pierluigi Bersani, quando richiama alle proprie responsabilità intellettuali, giornalisti, imprenditori, operatori sociali, infatti non è possibile che sia solo l’opposizione parlamentare e il pur vasto moto di popolo delle piazze a chiedere le dimissioni del governo. E’ palpabile che il mondo finanziario, bancario, economico, imprenditoriale spera ancora che il berlusconismo resista, per non perdere rendite di potere, posti sicuri, affari consolidati, così come ci raccontano ogni giorno le varie inchieste della Magistratura, alcune solide, altre un po’ contornate da un alone giustizialista inutile se non dannoso. Allo stesso tempo le opposizioni non hanno ancora trovato un terreno comune solido di azione, di proposta. Le estenuanti polemiche su primarie si o no, il leaderismo di questo o quel capetto, le mille iniziative di feste, convegni, scampagnate, conciliabili di correnti, correntine, sotto correntine, organizzate per posizionare gruppi e singoli nelle prossime liste elettorali (la possibilità di cambiare la legge elettorale è assai lontana, molti anche a sinistra sperano che rimanga tutto invariato),  sottraggono utili energie ad una seria preparazione. In questo bailame, tra i vescovi che si agitano e invitano il ceto politico cattolico a unirsi sotto il vessillo Vaticano, i leghisti che nelle loro roccaforti sembrano sempre più dei signorotti senza eserciti, a destra chi potrebbe emergere? Non un altro Berlusconi, semplicemente perché modalità e messaggio politico sono bruciati, sicuramente un ridipinto blocco conservativo,  imbellettato di democristianità, sempre reazionario nelle idee e nelle modalità. A sinistra Pd, Sel e Idv portano sulle loro spalle una grande responsabilità: vincere le elezioni, anche con alleanze più ampie, ma soprattutto governare un profondo, radicale, convincente cambiamento. Chi pensa che l’obiettivo sia solamente quello di far cadere il governo e tornare a Palazzo Chigi, ci riconsegnerà alla sconfitta immediatamente successiva. Per ora il furore giustizialista e anti politico, può non colpire mortalmente i partiti del centro sinistra, ma questo dipenderà dalla capacità di non cavalcare gli istinti, proponendo soluzioni, non proteste. Ad essere franchi fino in fondo, tutta questa anti politica, può scaldare i cuori degli ingenui e dei protestatari di professione, ma fa molto male alla possibilità di ricostruire un metodo politico che fornisca strumenti oggettivi e sobri per un Italia davvero differente.

Share