SETTIMANALE GLI ALTRI venerdì 1 luglio 2011

di Aurelio Mancuso

Nella Grande Mela, lui e lui dicono sì.Vince l’azione lobbistica trasversale

Era il 28 giugno 1969 quando a New York, grazie a un manipolo di coraggiose travestite scoccava la scintilla della rivolta lgbt dello Stonewall, che sarebbe deflagrata in tutto il mondo, con ondate successive pacifiche e determinate a conquistare la luce del sole, dopo secoli di oscurità e clandestinità. Dopo quarantuno anni le persone lgbt tornano di notte a invadere la Grande Mela, ma per festeggiare proprio negli stessi giorni del 1969, la conquista del matrimonio gay. Con Iowa, Connecticut, Massachusetts, Vermont, New Hampshire, lo Stato di New York diventa il sesto stato americano a rendere effettiva la parità assoluta tra coppie etero e coppie gay. La situazione negli Stati Uniti è complessa, ci sono Stati dove ancora esiste il reato di sodomia, altri dove città riconoscono diritti alle coppie gay, in generale da quasi quarant’anni tra passi avanti e brusche frenate, se ne discute e ci si divide. La votazione del Senato newyorkese ha rivelato un voto trasversale, con l’apporto decisivo di alcuni esponenti repubblicani, parte politica generalmente avversa ai matrimoni gay, che hanno anche sostenuto la legge con grande coraggio. L’era Obama, primo presidente a pronunciarsi con chiarezza per il riconoscimento giuridico delle coppie gay, e da qualche giorno anche possibilista sui matrimoni, spinge l’intera federazione americana a non fermarsi sul tema dei diritti civili. D’altronde se si guarda la storia degli USA, paese schiavista, dilaniato da guerre civili, da culture politiche e sociali nettamente contrapposte, non si può rimanere affascinati dalla capacità di operare grandi rotture, di trascinare tutto il mondo libero a cambiamenti dirompenti. Proprio il tema dei diritti civili, rimane centrale in una società talmente mescolata da etnie, religioni, convincimenti ideali così differenti fra loro, da essere in qualche modo obbligata a mutare, a porsi la questione dell’equilibrio da ricercare continuamente per mantenere la pace sociale, l’assunzione dei conflitti. E se ancora oggi la popolazione nera è sostanzialmente più svantaggiata di quella bianca, se non si sono rimarginate la ferite storiche con i popoli nativi, se nord e sud mantengono tratti di disparità culturale proprio sui diritti civili, se la frontiera meridionale è una polveriera sempre pericolosamente surriscaldata, tutto questo non impedisce una lenta progressione. L’Italia e gli Stati Uniti sono imparagonabili, però quello che è avvenuto a New York la settimana scorsa, rivela che l’America dei diritti ha ripreso, come accade ciclicamente, la sua corsa, e questa ha sempre influenzato tutto l’Occidente, a cominciare dall’Europa. La novità rispetto a un tempo è che l’Europa sostanzialmente è sulla stessa scia, anzi ha anticipato in alcune sue aree il riconoscimento dei diritti civili per i gay, che l’America Latina con Argentina e Brasile, i due stati guida del continente, ha iniziato il suo cammino e nel tempo si apriranno contraddizioni a Est, dai Balcani per arrivare fino in Cina. Anche nei paesi lontani, persino ostili, come quelli teocratici e islamici, si sono affacciati movimenti d’opinione e di piazza che includono la libertà delle donne e delle persone lgbt. Insomma il mondo si muove, mentre l’Italia, rimane rinchiusa in una sorta di autarchia della discriminazione. Per operare una traslazione non corretta sul piano dei poteri istituzionali, però comprensibile sul piano della tecnica di approccio politico, in Italia la speranza per una nuova stagione dei diritti civili si chiama Comuni, Province, Regioni. Quei livelli istituzionali dove con più chiarezza si è per ora espressa una volontà di cambiamento è il banco di prova per un nuovo movimento per i diritti civili di tutte e di tutti. Nelle città e nelle altre istituzioni locali cresce una classe politica nuova, che nella lunga rincorsa per la riconquista del governo nazionale, può far comprendere alle leadership che l’alternativa passa anche da qui, dal ritenere i diritti civili uno dei volani strutturali del riscatto economico e sociale dell’intero Paese. Pisapia, De Magistris, Fassino, Merola (che un po’ si deve chiarire le idee) e tutti gli altri sindaci, presidenti di Province e Regioni, possono rappresentare una vera speranza, così come i movimenti che in questi anni si sono espressi su differenti temi, devono avere la capacità di ricercare una piattaforma comune. La spinta deve essere univoca e forte, come ci hanno insegnato i movimenti dei diritti civili statunitensi, cui dobbiamo esser grati nell’indicarci con chiarezza strategie e strumenti innovativi. Cosa non dobbiamo fare? Illuderci che ora sia sufficiente mantenere saldi i principi giustamente evocati in questi anni, che sia “naturale” che il centro sinistra non compia più gli errori del passato. La trasformazione del nostro campo invece è ancora tutta da perseguire, se si vogliono vincere le elezioni bisognerà abbandonare, per fortuna, giustizialismi, furbizie, tentennamenti programmatici, populismi e leaderismi affascinanti, parole d’ordine demagogiche e sognanti. Di sogni i cittadini eterosessuali e gay italiani ne hanno visti raccontare moltissimi, alla fine la loro condizione concreta è peggiorata. Fatti signori miei, e pure convincenti, così come ci insegnano da oltreoceano.

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