Articolo pubblicato su frontpage.it di Aurelio Mancuso

Dell’operazione outing portata avanti da corsari informatici sta parlando tutta la stampa italiana, moltissimi esponenti del mondo gay e tutta la rete internet. Cosa accade? Un gruppo di anonimi ha deciso di pubblicare dieci nomi di politici che in questi anni con dichiarazioni pubbliche, atti concreti, attività politiche, si sono distinti per la loro sostanziale e pervicace omofobia.

Qualche mese fa io stesso avevo lanciato l’idea su Facebook: moltissime adesioni ideali, ma nessuno si è fatto avanti per concretizzare. Perché? Come sappiamo bisogna assumersi oneri pesantissimi, tra cui il rischio di denunce penali. Sulla rete si possono trarre alcune indicazioni: la stragrande maggioranza del popolo internauta gay è d’accordo con l’outing, quasi tutti i leader del movimento sono contrari. Sulla stampa fioccano commenti, anche di firme illustri, a difesa della privacy di questi dieci supposti parlamentari gay e sicuramente omofobi. Mi sono deciso a rompere il silenzio che mi ero imposto da qualche giorno, perché grazie questo sito, posso dire alcune cose e poi tacere nei prossimi giorni.

Non ho alcuna fregola di commentare la lista che sarà pubblicata, farmi travolgere dalle facezie del “Ma tu lo sapevi?”, “Cosa ne pensi di questo o quel nome?” ecc. Non ho alcuna intenzione di scandalizzarmi, di proclamare solidarietà, di entrare nel merito di una vicenda che va collocata nel suo giusto alveo: si tratta di un’operazione corsara, che ha il solo merito di evocare un tema vero: in questo Paese esiste una schiera di politici, preti, volti noti, che con l’omofobia riesce a emergere sui mass media, costruisce il proprio consenso popolare, imbastisce relazioni istituzionali e accordi e poi, ci sono migliaia di ragazze e di ragazzi inermi che subiscono violenze e discriminazioni, vivono nel terrore di essere scoperti omosessuali, sono presi in giro a scuola, esclusi dalle famiglie, picchiati per strada.

La forma con cui avverrà questa denuncia è sicuramente debole dal punto di vista della correttezza, del rispetto delle persone coinvolte, ma tra i media e le classi dirigenti chi può scagliare la prima pietra? Da alcuni anni, tutti i giorni su tutti i giornali, sono vomitate centinaia d’intercettazioni, trascrizioni d’interrogatori, foto di ragazze discinte messe alla berlina, fregandosene altamente del rispetto della privacy del premier, dei suoi amici, di altri politici. Assodato che Berlusconi è il peggior nemico di se stesso, chi associa questa “macchina del fango” con l’outing di questi bricconcelli, non solo non ha il senso delle proporzioni, ma non comprende che c’è una grande differenza tra lo squallido enorme gossip in cui è sprofondata l’Italia e punzecchiare il bubbone dell’ipocrisia che è la causa principale del fatto che da decenni in questo Paese il Parlamento impedisce qualsiasi legge a tutela delle persone lgbt.

Se avessi avuto la possibilità, magari una mano dai tanti che oggi come avvoltoi si buttano sull’outing per avere tre righe sui giornali, forse quest’operazione outing avremmo potuto, come qualcuno rampogna, gestirla in altro modo, mettendo in campo una forza sociale consistente e potente. Le divisioni si pagano, le idee magari buone ormai ci vengono rubate, per cui io come tutti i gay di questo Paese subirò ciò che sarà pubblicato, perché la funzione politica e sociale della comunità lgbt italiana da troppo tempo è dispersa. L’unica differenza tra me e tutti questi altri leader, è che continuo a pensare che l’outing in Italia sia doveroso, arriva purtroppo tardi e in modo sgangherato. Sia altrettanto chiaro: tra il dolermi per l’evidente fastidio e magari stupore di chi sarà citato e il dramma di milioni di gay che continuano a essere dei fantasmi sociali, sempre sceglierò i secondi.

Tutto questo volevo dire: i colleghi giornalisti potranno da questo scritto prendere parti per citare ciò che penso. In ultimo, personalmente consiglio a tutti di avere senso della misura, di non trasformare una vicenda che ha degli evidenti limiti e sufficienti interrogativi nell’ennesimo scontro tra i mondi, che durerà qualche giorno. Lo consiglio anche a chi in quella lista si vedrà citato. Intanto perché, a differenza di qualche incauto e non cosciente capo di movimento, penso che esser definito gay non è un insulto, e poi perché magari, se davvero lo è, avrà l’occasione di risolvere pubblicamente una contraddizione politica del tutto evidente, che non attiene solo alla sua coscienza, bensì anche alla limpidezza che si dovrebbe mantenere tra elettori ed eletti.

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