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L’arcipelago lgbt deve uscire dal vittimismo – settimanale gli Altri

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bandiera rainbowForastico a qualsiasi moda rottamatrice che sta trasformando il dibattito pubblico in una sorta di gioco circense dell’antica Roma, e rammentando che il movimento lgbt italiano è l’unico che dai primi anni ’70, con alterne fortune, atti eroici, diffuso ostracismo da parte della classe politica, durissima opposizione della chiesa cattolica, è giunto fino a noi con una forza sociale molto importante, voglio spiegare perché a mio avviso, va completamente riorganizzato. Più che un movimento, l’arcipelago lgbt, è una rete plurale e territorialmente presente anche in piccole realtà e, dalla metà degli anni ’90 ha fatto un gran salto di irrobustimento e capacità di prendere la parola sui mass media. Analisi liquidatorie e poco informate (purtroppo anche nella collettività lgbt la memoria è labile) dipingono i due ultimi decenni come una lunga sequela di sconfitte. Invece l’esplosione della visibilità lgbt, con il World Pride del 2000 (che provocò molte polemiche interne al movimento) ma che Imma Battaglia seppe trasformare nella più grande risposta laica e libertaria alle interdizioni vaticane che non volevano alcuna manifestazione nella Capitale nell’anno del Giubileo, ha vinto nella società, espresso negli anni successivi una vivacità aggregativa e culturale molto importante. (altro…)

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Europee: Tsipras ottimo candidato, ma la vera sfida è quella di Schulz – settimanale gli Altri

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Alexis TSIRPAS, Martin SCHULZ - EP Presidentdi Aurelio Mancuso

Il 25 maggio si gioca una partita in Europa decisiva per il destino di un continente in bilico tra conservazione e aspirazione, tra rigorismo e generosità. Il vento che spira forte si conosce già: il populismo, soprattutto quello anti Euro, farà un grande balzo e scardinerà gli equilibri dentro il Parlamento europeo. I più bassi istinti xenofobi, omofobi, misogini, nazionalisti s’incontreranno in diverse liste e formazioni, per tentare soprattutto in alcuni Paesi una spallata culturale e sociale pericolosa e inedita. Tutta quest’ondata, che per alcuni versi spiega anche il fenomeno italiano (molto originale e con tratti trasversali) del Movimento 5 Stelle,  è ingenerata e ora alimentata dalla profonda crisi economica che si è abbattuta sull’Europa, Vi erano già state ampie premonitrici anticipazioni nel decennio passato, alimentate da una estrema debolezza politica delle istituzioni europee, di cui colpa sta sulle spalle della destra e le sue politiche di austerity e di macelleria sociale. La sinistra riformista continentale, divisa, oscillante tra la volontà di rifugiarsi dietro ricette simili a quelle della destra e pallide autonome proposte economiche, paga alcuni lustri d’incapacità di trasformarsi, dopo il 1989, in una sponda sociale solida. Permangono dentro il socialismo europeo contraddizioni che esaltano ancora differenze nazionali, dislivelli economici, complesse articolazioni sociali e valoriali. Tutte le grandi famiglie europee si stanno, quindi, preparando alle elezioni con la discesa in campo dei propri candidati alla presidenza della Commissione Europea (novità introdotta dal Trattato di Lisbona). Per ora si rubano la scena il tedesco Martin Schulz, attuale Presidente del Parlamento europeo per i Socialisti e Democratici, e il leader greco di Syriza Alexis Tsipras, sostenuto da Sinistra Europea. In Italia questo significa che il PD, dopo l’adesione ufficiale al PES, sosterrà Schulz, mentre SEL e quasi tutta la galassia comunista e antagonista extra parlamentare, affideranno a Tsipras i propri voti. La lista di Tsipras è coordinata da alcuni intellettuali che hanno stilato liste che vanno da Casarini a Spinelli. Le candidature del PD non sono ancora pronte, e non mancheranno contraddizioni, soliti bilancini tra correnti, candidate e candidati con visioni ideali anche contrapposte. Nel recente Congresso nazionale di SEL la scelta di sostenere il leader di Syriza, ha prodotto una spaccatura risolta in una votazione con 382 a favore, 68 contrari, 123 astenuti. Tutti uniti i militanti e i dirigenti di Sel promettono ora, di impegnarsi in una campagna elettorale non semplice, perché tra scontata diffusa astensione e capacità di coagulazione del consenso tra i tre partiti in questo periodo più importanti, PD, M5S e FI, le liste medie e piccole rischiano di patirne. I sondaggi sono confortanti, la proposta della Lista Tsipras è accreditata intorno al 7/8 per cento (quasi la somma dei voti di Rifondazione Comunista e di Sinistra Ecologista di cinque anni fa). Come sanno bene i dirigenti di SEL conviene esser prudenti perché già in altre elezioni i rilevamenti teorici non furono coerenti con i voti conquistati nelle urne. Il tema vero, è che SEL si trova in mezzo al guado, e per non scoprire il fianco a sinistra, non tanto per i competitor ormai quasi ininfluenti, ma per mantenere un minimo di argine rispetto a un sentimento diffuso di astensione proprio tra il magma popolare delle sinistre italiane, ha scelto il bene rifugio greco. Il leader ellenico appiana pubblicamente conflitti e malumori interni, offrendo una perfetta campagna elettorale identitaria, con la comodità di poter concentrare su alcune figure vendoliane le preferenze. Alla fine il 26 maggio sapremo se la strategia di stare con la Sinistra Europea, continuando a professarsi interessati al PES, pagherà in termini elettorali, sapendo già adesso che alcune candidature alla Casarini, non strapperanno di certo elettorato al PD, neanche quello più sofferente rispetto a dirigenti apprendisti stregoni. D’altronde Vendola sa che la sua contraddizione non è solitaria, il PD nonostante la tenuta nei seggi, rischia in ogni momento implosioni, scissioni, secessioni silenziose. Ancora una volta le sinistre che sono concretamente disponibili al governo si allontanano, si scrutano, sognano l’altrui disfacimento, che non avviene perché la polarizzazione mantiene ossificati grandi pianeti e piccoli satelliti. Queste elezioni europee, con tutto il loro cumulo di rancori e sfilacciamenti, sono una tappa intermedia verso le politiche su cui però nessuno avanza previsioni. Nella permanente confusione del quadro politico, tra annunci salvifici e previsioni catastrofiche, si sedimenta l’indifferenza nella società, che fa sempre vincere la destra.

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I 100 giorni del governo Bergoglio – settimanale gli Altri

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Papa-Francescodi Aurelio Mancuso

Papa Francesco deve fare i conti con i suoi primi cento giorni di pontificato, se non altro perché i media, tanto innamorati di questo simpatico capo della chiesa cattolica, aspettano frementi le prime vere mosse. Il vescovo di Roma dopo tre mesi di ascolto e discernimento è atteso al varco rispetto alle attese suscitate dopo la sua clamorosa elezione. Gli atti previsti riguardano essenzialmente tre questioni tutte collegate fra loro e che vanno sotto il nome di riforma della Curia. Bergoglio deve scegliere il nuovo segretario di Stato, metter mano all’organizzazione vaticana, dopo gli scandali resi noti dai dossier, intervenire sullo Ior, prima che la magistratura italiana assesti un colpo mortale all’immagine dello Stato di cui è a capo. Le Commissioni sono all’opera, i primi segnali son già pervenuti con alcuni spostamenti di incarico, ma ciò che chiede il popolo di Dio, soprattutto quello potentissimo delle due Americhe e di parte consistente dell’Europa, è una sferzata che deve esser ben percepita in ogni angolo del mondo cattolico. Sullo Ior sembra che il papa stia maturando la convinzione che la sua stessa esistenza sia un lusso che la chiesa cattolica non si può permettere. (altro…)

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Pride: una festa e una battaglia, ma senza liturgie – settimanale gli Altri

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matrimonio-gay

di Aurelio Mancuso

Inesorabile come l’8 marzo, meno impegnativa del 1 maggio, destabilizzante come le feste di papà e mammà, è giunta la stagione dei Pride. Il 28 giugno 1969 un manipolo di travestite e transessuali diede del filo da torcere alla polizia allo Stonewall Inn sulla 53° Christopher Street di New York, che per l’ennesima volta irrompeva nei locali gay. Nessun omosessuale in giacca e cravatta era presente, alcuna scintilla di rivendicazione politica classica ha provocato l’ira delle frequentatrici e frequentatori di quel bar, solo la stanchezza e l’umiliazione hanno armato queste persone dei loro tacchi volati contro gli agenti armati di bastoni e disgusto nei confronti dei “pervertiti”. E lo sfoggio di rossetti, tacchi, vestiti colorati sono l’anima stessa dei Pride, della nostra Liberazione che da quel piccolo locale si espansa in quarantaquattro anni e ha travolto prima l’Occidente e ora tutto il mondo, i pregiudizi plurimillenari. In soli quattro decenni la gran parte degli stati degli USA hanno leggi sul matrimonio egualitario o sulle unioni civili, così come il Canada, alcuni paesi dell’America Latina, la gran parte dell’Unione Europea, e così via. (altro…)

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La silenziosa guerra tra i moderati Enrico e Matteo – settimanale gli Altri

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pd puzzledi Aurelio Mancuso

Giocano una partita sullo stesso terreno politico e ideale Enrico Letta e Matteo Renzi. Dentro lo scontro drammatico tra correnti, e soprattutto nella base in continua ebollizione, il nuovo premier azzarda e costruisce una compagine governativa moderata, in Europa si direbbe liberale conservatrice, di cui la delegazione del Pd, se si eccettuano alcune presenze, è in linea. Hanno vinto gli ex democristiani dentro e fuori i partiti, le colombe che veleggiano di generazione in generazione nel potere che conta, che nei momenti difficili della Repubblica (che non ha mai pace) si appollaiano serene e sobrie sulla plancia di comando. Il sindaco di Firenze non può che abbozzare, pubblicamente esultare  sottolineando che i big sono rimasti fuori, che è avvenuta una sostanziale rottamazione, quasi definitiva. Renzi sa che più Letta prenderà le misure, riuscirà magari a produrre qualche provvedimento efficace sul fronte della crisi economica, e più per lui il futuro politico si complica. A differenza del vice segretario del Pd, il rottamatore, non ha ancora potuto esibire una squadra di governo sensata, che tranquillizzi i poteri, sempre eterni della finanza nostrana e dell’industria, delle fondazioni in cui si mascherano massoni, clericali, e poteri di ogni sorta. Per ora Renzi è un bel trailer di un film annunciato, ma di cui non si sa quando vedremo le prime scene. Enrico Letta, nel silenzio, nella sobrietà declamata, nei convegni di Vedrò, nella tessitura di una larga rete di rapporti personali e politici, è come d’incanto arrivato pronto all’occorrenza, e tra il fallimento dei tentativi bersaniani e le urla di Renzi che ogni giorno chiedeva una soluzione veloce, oppure le immediate elezioni, ha prontamente portato a casa il risultato. Renzi sa bene che i Letta non s’impressionano davanti ai proclami e ai battage mediatici, loro ci sono, e attendono con pazienza la vera sfida. Una partita tutta imbandita dentro il campo moderato, in quella parte del PD che ancora una volta si avvantaggia delle incapacità tattiche della ben più numerosa e portatrice di voti dell’ala sinistra interna, uscita alla fine umiliata e per ora senza un vero progetto in vista del Congresso e delle elezioni future. Il governo Letta non favorisce la scissione, ne agita la possibilità dalla posizione di comando, brandendo con dolcezza la spada dell’inevitabilità di un percorso comune. In attesa, che la sinistra interna (di cui comunque sia Letta e sia Renzi non possono prescindere se vogliono mantenere i loro differenti poteri del momento) superi la fase dell’infantilismo scissionista e degli happening spontaneisti nei territori, i due ex democristiani, più o meno giovanili, si confronteranno senza esclusioni di colpi. Da decidere sono solo le forme e i tempi, ma il conflitto esploderà, perché il sindaco non può certo interrompere la sua carriera da star televisiva, mentre il premier con difficoltà e pazienza cercherà di rimettere un po’ di ordine nel caos provocato dalla crisi e aggravato dal governo Monti. Ciò che complica la gloriosa marcia del fiorentino è il tempo, la possibilità che la carica propulsiva si esaurisca e, com’è accaduto ad altri, e arrivi al momento topico stanco e già vecchio. Ecco perché per Renzi è necessario avviare immediatamente il Congresso, e valutare se in prima persona assumere la segreteria del PD, tentazione non scevra da forti rischi, perché un conto sono le Primarie per la premiership un altro quello per conquista Sant’Andrea delle Fratte.  Fino al momento prima dell’insediamento del governo Letta suonavano dolci le sirene cullate dalle correnti di lode e promesse di eterno amore nei confronti del fiero De Medici del 2000. Ora i canti si sentono in lontananza e la possente portaerei renziana, naviga meno sicura verso Itaca.  I post comunisti sono un disastro nell’acchiappare il vero potere, in questa vicenda ne hanno sbagliata una dietro l’altra, impettiti da una vacua arroganza, che si è dissolta davanti al soave lento incedere degli ex popolari, ma a tirar trappoloni, compattare le truppe, organizzare congressi, son maestri, per questo Renzi deve ora davvero scegliere e stringere qualche patto, o al suo generoso giovanilismo sarà preferita una tradizionale messa, che val sempre recitare, in qualsiasi tradizione liturgica sia convocata.

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