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Media e Renzi: tra Carosello e evocazioni Pop, ma non chiamatelo Forrest Gump – settimanale gli Altri

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La7 - Renzi ospite alla trasmisione ottoemezzo

di Aurelio Mancuso

Nel lento declino del berlusconismo irrompe l’era renzista e i mass media si riorganizzano per tracciare il nuovo corso. A differenza del Cavaliere il Sindaco d’Italia non è puro prodotto pubblicitario, ovvero non attinge alla tecnica della mera mescita delle teorie e pratiche comunicative americane. Matteo Renzi è un misto tra gli spot di Carosello e le evocazioni letterarie pop con qualche scorribanda nei testi classici. Berlusconi e Renzi che a torto si cerca di sovrapporre, pascolano nella stessa vasta prateria del volgo tenendosi il più lontano dai linguaggi paludati delle corti dei palazzi del potere. Se un tratto comune si può trovare, è la straordinaria ferocia ammantata dai ceroni (per Berlusconi sempre più tenui) di bonomia. Da giorni il palinsesto è invaso di servizi e approfondimenti sul neo presidente del Consiglio, una raffigurazione che si sostiene esaltando la giovane età, la velocità della decisione (per ora solamente presunta) la distanza con le polverose Aule parlamentare, l’indagine tra i suoi più stretti collaboratori, e purtroppo, anche la sempre eterna descrizione dei look delle ministre. I giornali tentano insomma di ricondurre il fenomeno Renzi all’interno dei soliti rassicuranti binari comunicativi. Come al tempo della discesa in campo di Berlusconi il sistema informativo italiano non è preparato, nonostante che la cavalcata renziana sia ormai iniziata da qualche anno. Berlusconi poteva contare su una televisione commerciale di proprietà e di assoluta affinità rispetto alla sua narrazione, cui prontamente si adeguò il servizio pubblico, in fondo proporre la politica come una saponetta era l’uovo di Colombo, scoperto oltre oceano già da qualche decennio. Il Fiorentino è figura più complessa, accelera e frena con mosse variabili, ha un rapporto con la comunicazione all’apparenza meno costruito, quasi più ruspante e poco filtrato. A differenza di Beppe Grillo, l’altro vero ciclone, non insulta, non minaccia, non domina i suoi interlocutori, Renzi li affoga con il buonsenso, li denuda dalle loro incrostazioni sedimentate dalla troppa frequentazione del potere, quindi, a volte, li grazia, oppure li mette sbeffeggia. In fondo i tre protagonisti della politica italiana sono perfetti per la rappresentazione mediatica di una soap opera intrisa di cinismo, egoismo, buonismo e lacrimevoli tratti di demagogia. Berlusconi da ottimo testimonial di prodotti appetitosi è ora più moderatamente posizionato nell’alveo del settore del diporto e del riposo, Grillo avrebbe sicuramente sterminati spazi nel campo della televendita delle creme rassodanti. Matteo Renzi è buono ad apparire tra i vigneti toscani a reclamizzare il sole, l’agricoltura bio e la pastorizia di prossimità, come per lanciare linee vintage di vestiario e di dolciumi. E’ il Fenomeno oggi la vera antica novità su cui i media cercano di accordarsi, trasudando come sempre d’implicito servilismo nei confronti del nuovo potente di turno (poche le eccezioni) che in qualche modo bisogna pur riverire. Non è detto che Renzi gradisca, ma suo malgrado sopporterà, anche perché la furia rottamatrice (che in alcuni programmi tv e editoriali cartacei sarebbe salutare) non si può abbattere rispetto a un potere di cui non dispone direttamente le leve, anche se la nomina del suo fedelissimo Luca Lotti all’editoria non dovrebbe rassicurare i pettuti alchimisti della comunicazione italiana. Per ora comunque tg e tracimanti talk show politici prendono le misure in attesa delle inevitabili gaffe, errori, speriamo non fallimenti del turbo Renzi. La luna di miele durerà per il tempo necessario, poi anche il presidente del Consiglio dovrà sorbirsi, chiusa la svenevole sequela di consigli e indicazioni programmatiche grondanti dagli editoriali dei grandi giornali, i rimproveri e le distinzioni. D’altro canto i giornalisti politici, le grandi testate sono la sezione fiati dell’orchestra italiana che preferisce le ripetute stonature che la disciplina e la coerenza di una direzione. Un dato è certo, l’era Renzi cambierà profondamente anche il sistema comunicativo, perché se riuscirà nel suo intento di cambiare almeno un po’ l’Italia, regnerà indisturbato per molto tempo e questo non potrà che riorganizzare anche la narrazione del Paese. Se fallirà, si aprirà allo stesso modo una fase drammaticamente complicata, che diromperà anche dentro i media. E’ più probabile però che il nostro Sindaco abbia in mente un percorso  meno lineare, che prevede l’alimentazione a tavolino di onde impetuose e momenti di bassa marea, da possibili crisi pilotate a distribuzione di nomine e pecette per rabbonire, quando sarà necessario, l’ingordo e non ancora agonizzante infetto sistema dei poteri. Lo skipper è assai più esperto di quanto appaia, e la sottovalutazione anche iconografica che i suoi quasi inesistenti competitor politici tentano di accreditare per sentirsi più al sicuro, è poca cosa. Renzi non è Forrest Gump né l’ingiallita riproposizione di Tony Blair. Il suo spartito è tutto da scrivere, questa è la sua forza, anche comunicativa, come la sua possibile strutturale debolezza.

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La silenziosa guerra tra i moderati Enrico e Matteo – settimanale gli Altri

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pd puzzledi Aurelio Mancuso

Giocano una partita sullo stesso terreno politico e ideale Enrico Letta e Matteo Renzi. Dentro lo scontro drammatico tra correnti, e soprattutto nella base in continua ebollizione, il nuovo premier azzarda e costruisce una compagine governativa moderata, in Europa si direbbe liberale conservatrice, di cui la delegazione del Pd, se si eccettuano alcune presenze, è in linea. Hanno vinto gli ex democristiani dentro e fuori i partiti, le colombe che veleggiano di generazione in generazione nel potere che conta, che nei momenti difficili della Repubblica (che non ha mai pace) si appollaiano serene e sobrie sulla plancia di comando. Il sindaco di Firenze non può che abbozzare, pubblicamente esultare  sottolineando che i big sono rimasti fuori, che è avvenuta una sostanziale rottamazione, quasi definitiva. Renzi sa che più Letta prenderà le misure, riuscirà magari a produrre qualche provvedimento efficace sul fronte della crisi economica, e più per lui il futuro politico si complica. A differenza del vice segretario del Pd, il rottamatore, non ha ancora potuto esibire una squadra di governo sensata, che tranquillizzi i poteri, sempre eterni della finanza nostrana e dell’industria, delle fondazioni in cui si mascherano massoni, clericali, e poteri di ogni sorta. Per ora Renzi è un bel trailer di un film annunciato, ma di cui non si sa quando vedremo le prime scene. Enrico Letta, nel silenzio, nella sobrietà declamata, nei convegni di Vedrò, nella tessitura di una larga rete di rapporti personali e politici, è come d’incanto arrivato pronto all’occorrenza, e tra il fallimento dei tentativi bersaniani e le urla di Renzi che ogni giorno chiedeva una soluzione veloce, oppure le immediate elezioni, ha prontamente portato a casa il risultato. Renzi sa bene che i Letta non s’impressionano davanti ai proclami e ai battage mediatici, loro ci sono, e attendono con pazienza la vera sfida. Una partita tutta imbandita dentro il campo moderato, in quella parte del PD che ancora una volta si avvantaggia delle incapacità tattiche della ben più numerosa e portatrice di voti dell’ala sinistra interna, uscita alla fine umiliata e per ora senza un vero progetto in vista del Congresso e delle elezioni future. Il governo Letta non favorisce la scissione, ne agita la possibilità dalla posizione di comando, brandendo con dolcezza la spada dell’inevitabilità di un percorso comune. In attesa, che la sinistra interna (di cui comunque sia Letta e sia Renzi non possono prescindere se vogliono mantenere i loro differenti poteri del momento) superi la fase dell’infantilismo scissionista e degli happening spontaneisti nei territori, i due ex democristiani, più o meno giovanili, si confronteranno senza esclusioni di colpi. Da decidere sono solo le forme e i tempi, ma il conflitto esploderà, perché il sindaco non può certo interrompere la sua carriera da star televisiva, mentre il premier con difficoltà e pazienza cercherà di rimettere un po’ di ordine nel caos provocato dalla crisi e aggravato dal governo Monti. Ciò che complica la gloriosa marcia del fiorentino è il tempo, la possibilità che la carica propulsiva si esaurisca e, com’è accaduto ad altri, e arrivi al momento topico stanco e già vecchio. Ecco perché per Renzi è necessario avviare immediatamente il Congresso, e valutare se in prima persona assumere la segreteria del PD, tentazione non scevra da forti rischi, perché un conto sono le Primarie per la premiership un altro quello per conquista Sant’Andrea delle Fratte.  Fino al momento prima dell’insediamento del governo Letta suonavano dolci le sirene cullate dalle correnti di lode e promesse di eterno amore nei confronti del fiero De Medici del 2000. Ora i canti si sentono in lontananza e la possente portaerei renziana, naviga meno sicura verso Itaca.  I post comunisti sono un disastro nell’acchiappare il vero potere, in questa vicenda ne hanno sbagliata una dietro l’altra, impettiti da una vacua arroganza, che si è dissolta davanti al soave lento incedere degli ex popolari, ma a tirar trappoloni, compattare le truppe, organizzare congressi, son maestri, per questo Renzi deve ora davvero scegliere e stringere qualche patto, o al suo generoso giovanilismo sarà preferita una tradizionale messa, che val sempre recitare, in qualsiasi tradizione liturgica sia convocata.

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