Papa-Francescodi Aurelio Mancuso

Papa Francesco deve fare i conti con i suoi primi cento giorni di pontificato, se non altro perché i media, tanto innamorati di questo simpatico capo della chiesa cattolica, aspettano frementi le prime vere mosse. Il vescovo di Roma dopo tre mesi di ascolto e discernimento è atteso al varco rispetto alle attese suscitate dopo la sua clamorosa elezione. Gli atti previsti riguardano essenzialmente tre questioni tutte collegate fra loro e che vanno sotto il nome di riforma della Curia. Bergoglio deve scegliere il nuovo segretario di Stato, metter mano all’organizzazione vaticana, dopo gli scandali resi noti dai dossier, intervenire sullo Ior, prima che la magistratura italiana assesti un colpo mortale all’immagine dello Stato di cui è a capo. Le Commissioni sono all’opera, i primi segnali son già pervenuti con alcuni spostamenti di incarico, ma ciò che chiede il popolo di Dio, soprattutto quello potentissimo delle due Americhe e di parte consistente dell’Europa, è una sferzata che deve esser ben percepita in ogni angolo del mondo cattolico. Sullo Ior sembra che il papa stia maturando la convinzione che la sua stessa esistenza sia un lusso che la chiesa cattolica non si può permettere. continua a leggere Non è previsto nell’immediato alcun clamoroso scioglimento dell’Istituto, è probabile che la soluzione passi attraverso una gestione che cancelli le attiguità del passato, per poi avviare una trasformazione compatibile con la visione di Francesco di una chiesa che ha bisogno di risorse economiche, non di foschi affaristi entro le sue mura. Sul segretario di Stato i termini sono più semplici, ma non scevri di possibili scossoni, Francesco preferirebbe un cardinale a lui vicino, magari anche non espertissimo in diplomazia e affari politici. Tarcisio Bertone, giunto pure lui alla segreteria di Stato non molto preparato, non lascia una situazione tranquilla, anzi a lui si imputano le sommosse velenose a suon di scoop mediatici covati dentro gli ambienti più potenti della Curia, con cui è entrato in rotta di collisione molte volte. Di carattere pubblico bonario con punte edonistiche,  Bertone è al centro di tutte le bufere che si sono scatenate, tra cui la non lineare gestione dei problemi giudiziari e finanziari dello Ior, le nomine spregiudicate in posti di grande delicatezza, le molteplici gaffe in sede diplomatica. Se Benedetto XVI lo ha difeso fino alla fine, di certo Francesco dovrà farlo dimenticare al più presto, scegliendo anche in questo caso tra prelati molto rigorosi e morigerati. La riorganizzazione della Curia è un vero rompicapo, perché il “delicato” mandato avuto nel pre e post Conclave da parte dei suoi sponsor è quello di ridimensionare una organizzazione in cui si alimentano veleni e complotti, che erano strutturali nei secoli passati, ma che oggi devono fare i conti con un’opinione pubblica cattolica sempre più insofferente nei confronti di un potere, che ha nei fatti portato alle dimissioni di Ratzinger, spossato dai continui sotterranei ricatti e sgambetti. Fino ad ora Francesco ha impresso una strada precisa: chiesa più povera, basta con le organizzazioni finanziarie che fanno apparire la cattolicità come una indistinta Ong, semplificazione di riti, funzioni, cerimoniali. La croce di legno sul petto, i continui bagni di folla, la scelta di non dimorare nelle stanze pontificie, l’eloquio diretto, reso fluente dall’accento latino, sono i simboli, (che per la Tradizione sono fatti) di voler interpretare il suo papato come punto di riferimento morale e paterno, a detrimento della sacralità e del regno. Per questo tutti i media italiani, che siano di destra o di sinistra, venerano questo novello pontefice, che a differenza dello spigoloso tedesco, pronuncia concetti durissimi con il linguaggio dell’amore. Il  radicale mutamento dell’organizzazione vaticana è correlato alle questioni dottrinali e teologiche, non esplicitate con chiarezza, forse perché per ora Bergoglio non vuole entrare nel merito di temi spinosissimi, fonte di ribollii estesi in tutte le chiese locali del pianeta. Il papa italoargentino si è limitato a evocare più volte la figura del diavolo e a pronunciare qualche rimbrotto sulla difesa della vita. Il suo insistere però sulla povertà, sugli ultimi, sulle ingiustizie provocate dal capitalismo è servito a mettere sullo sfondo le manie anti sataniche di sapor medioevale. Per questo da vari ambienti politici e culturali progressisti italiani, come al solito bisognosi di potersi genuflettere senza aver patemi d’animo, giungono sbraccianti adesioni e sostegni. Nei prossimi mesi e anni, si misurerà se la ricetta “calvinista” di Francesco sarà sufficiente a rianimare un’organizzazione che patisce la fuga dalle vocazioni, che non riesce a frenare lo svuotamento delle chiese parrocchiali, che sull’altro versante della cortina politica delle Alpi si confronta pubblicamente dilaniandosi sulla morale sessuale, sulla consacrazione delle donne e degli sposati, sul dramma della pedofilia. E si ritorna dritti al centro di tutto: in Vaticano. Conferenze episcopali, ordini religiosi, scuole teologiche, milioni di cattolici, chiedono collegialità, destrutturazione di dicasteri come l’ex Sant’Uffizio, poteri ai sinodi nazionali anche in materia di discussione teologica. Questioni accennate nel Concilio Vaticano II,  ma non normate, rimandate nel tempo, e ossificate dopo i pontificati dei papi polacco e tedesco. I predecessori di Francesco sono stati fieri avversari delle aperture volute da Giovanni XXIII e in parte accolte da Paolo VI, hanno passato molto del loro tempo, come cardinali e papi, a combattere il confronto teologico, a ridurre al silenzio dissidenti, ad allontanare e sciogliere associazioni e gruppi di vero confronto ecumenico. Cosa farà il papa venuto dai confini del cattolicesimo? Nessuna riorganizzazione curiale, ridimensionamento degli affari finanziari, spoliazione dei simboli regali, potrà esser sufficiente se la chiesa cattolica non farà di nuovo pace con il mondo la città dell’Uomo.

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