Settimanale gli Altri 1 aprile 2011

Perché il nostro giornale dà fastidio a tante persone

Sembra che la censura e la repressione del dissenso siano oggi pratiche assai care ai tanti partiti e media della destra e della sinistra. Due esempi ci vengono subito in mente: l’estromissione di Flavia Perina dalla direzione politica de Il Secolo d’Italia e la censura preventiva operata dalla rivista Alfabeta2 nei confronti di Angela Azzaro. Il potere che si posiziona e ristagna da troppi anni nel nostro Paese non gradisce il pensiero difforme, la critica argomentata, cui forse è difficile fornire un’altrettanta risposta ragionata. Altra annotazione, non eccessiva, è che guarda caso le donne sono più soggette alle campagne di allontanamento e denigrazione, segno tangibile che la misoginia, ben plasmata negli schieramenti politici, è ancora un collante potente di cui dispongono schiere di intellettuali, politici, giornalisti di ogni club. Angela Azzaro era stata invitata a scrivere da chi curava uno speciale un articolo e ha saputo senza troppi giri di parole, che il suo pezzo era stato ritenuto filo berlusconiano, incompatibile con linea editoriale di sinistra.  Di quale sinistra? Evidentemente è accaduto qualcosa di più potente di ogni regola che dovrebbe spingere all’educazione e alla trasparenza giornalista. Anche fosse stato (e non è così) un articolo filo berlusconiano, quale paura poteva fare a una testata così attrezzata? Non che si possa esser stupiti, della censura a sinistra, che è intrisa della peggior ipocrisia che circoli sui media italiani.  Della destra abbiamo detto, e molto altro si potrebbe raccontare dell’intero sistema di esclusione scientifica del libero pensiero da parte della corrazzata mediatica della destra, ma ritornando a noi come tacere della sinistra? Tutti tesi a dimostrare quanto sono democratici, a sostegno della propria immagine di paladini della libertà di stampa e di espressione contro il cattivo Berlusconi, i giornali della sinistra sono assolutamente feroci nei confronti di chi non segue la corrente. Intendiamoci il dissenso è possibile esprimerlo, solo però se fai parte di alcuni ben conosciuti salotti e conciliabili intellettuali e politici, altrimenti sei fuori, destinato al silenzio. Chi opera la censura di sinistra oggi, non ha nulla a che vedere con chi, ai tempi dei vari centralismi democratici, discretamente guidava le danze. Anche perché allora il dissenso, quando esplodeva, era riconosciuto come elemento di discussione vera, drammatica e possibile di dolorose scissioni e lontananze. Oggi il pensiero delle élite culturali e politiche dominanti essendo liquido, o meglio assai liquefatto, non si può permettere il dissenso, perché difficilmente riesce a contrastarlo. Appena qualcuno osa sollevare il tema più sensibile, in altre parole la necessità di superare l’anti berlusconismo becero e di maniera, quindi, di affrontare prima di tutto le insufficienze nel nostro campo, scattano due tipi di conseguenze: o sei censurato, in altre parole il tuo pensiero non può essere pubblicato, oppure sei insultato a prescindere da ciò che stai sostenendo. Alcune firme che scrivono su questo settimanale, compreso il sottoscritto, sono da tempo tacciate di esser amiche del nemico, berlusconiani, di destra e/o fasciste, peggio al soldo della reazione. Questi guardiani delle chiese vuote, che a dispetto di tutto non sembrano voler crollare, quali argomenti portano a sostegno di queste fantasiose affermazioni? Nessuno. Alteri, violentemente arroganti e tronfi delle posizioni acquisite, non discendono tra gli umili mortali, di cui provano un certo ribrezzo. Non c’è età che tenga (se è possibile, alcuni giovani sono peggio, perché allevati senza memoria e senso dell’umiltà), non c’è gradazione di posizionamento politico che faccia la differenza (dalla sinistra antagonista più reazionaria al centro sinistra moderato): tutta la sinistra italiana che governa i media che contano, quelli che fanno davvero opinione, che organizzano le grandi campagne, che orientano i gruppi dirigenti intermedi, condivide un atteggiamento di spocchiosa ripulsa del dissenso. Tutto questo si è aggravato negli ultimi anni, da quando si è voluto inseguire la chimera del moralismo anti berlusconiano, del voyeurismo politico, della strumentalizzazione  di ogni tema in chiave anti premier. Ogni campagna che sia sull’acqua pubblica, sulla Libia, sulla (sich!) dignità delle donne ha ormai uno schema identico: promozione di un appello lanciato da questo o quella intellettuale, raccolta pantagruelica di firme online, predisposizione di un comitato organizzativo, grande manifestazione conclusiva. Inutile, e davvero troppo faticoso, cercare di prendere la parola e tentare qualche ragionamento differente. Non paghi, nelle trasmissioni televisive giornalistiche e di intrattenimento della sinistra, gli ospiti sono quasi sempre i soliti, ben collaudati amici, che tanto rassicurano autori e conduttori. I Cardinali dell’unidirezionale libertà d’espressione hanno già schierato sciami di chieriche sentinelle, che bloccano o degradano qualsiasi “attentato” alla purezza ideologica. Cosa fare? Nulla. Mi son convinto che contro una tale e potente volontà preservativa, non ci sia nulla da fare. Bisogna attendere pazienti che passi questo tempo, dove con parole consunte, vuoto di idee, incapacità di farsi da parte, la gerontopolitica risistemata dal botulino di internet mostra tutta la sua evanescente ferocia. Naturalmente, pur proclamando l’inefficacia del nostro dire, potremmo mai rinunciarvi? Assolutamente no, anche perché non ne saremmo capaci. Non è in questo senso indifferente con quale spirito sapremo esprimere il libero pensiero. La miglior predisposizione rimane l’ironia e l’autoironia, sentimento difficilmente presente nei santuari della stampa della sinistra, così cupamente intenti a guardarsi le spalle. Noi piccole pulci sappiamo invece, che ci vuole buon umore per far lavorare con agilità la mente e di questo, con un pizzico di vanità, andiamo fiere.

Aurelio Mancuso

 

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