Settimanale gli Altri

 venerdì 9 settembre 2011

 di Aurelio Mancuso

La disputa sui beni immobili e le attività commerciali non tassate di proprietà del Vaticano e della Cei ha fatto emergere un atteggiamento arrogante da parte delle gerarchie cattoliche. Nonostante i numerosi e gentili editoriali apparsi in diverse testate, in special modo su il Corriere della Sera, scritti non da pericolosi anti clericali, ma da intellettuali assai vicini alla Curia, i vescovi italiani hanno reagito con rabbiosità, accreditando una tesi bislacca “la chiesa paga già abbastanza, che paghino gli evasori”. A sostegno di questa tesi le gerarchie hanno spiegato che la campagna denigratoria confonde tra le proprietà del Vaticano soggette a regole concordatarie e i beni in capo alla chiesa italiana. Altro argomento, sapientemente mistificatorio, riguarda come la chiesa italiana spende i soldi, soprattutto quelli provenienti dal truffaldino meccanismo della ripartizione dell’8 per mille (ingegnato dall’allora consulente governativo Giulio Tremonti). Da circa un mese è ripartita la campagna pubblicitaria della Cei su tutte le tv nazionali, che ricorda come quei soldi servano per progetti di solidarietà nel terzo mondo, per gestire le mense della Caritas, i servizi rivolti alle persone in difficoltà, e così via. Niente di più fuorviante. Come si sa la stragrande maggioranza di quel miliardo di euro annui è speso per il sostentamento del clero, in altre parole per pagare gli stipendi e per attività legate al foraggiamento dell’organizzazione associativa militante della chiesa. La verità dei numeri, comunque non può essere smentita, è un fatto che la chiesa in Italia (che sia il Vaticano o la Cei è davvero indifferente) grazie agli accordi concordatari, alle norme speciali riguardanti la fiscalità, i copiosi finanziamenti da parte del governo, delle regioni, delle provincie e dei comuni, per la ristrutturazione dei beni ecclesiali o per il sostegno delle attività educative (in barba dei dettami costituzionali) riceve dai contribuenti una cifra che gli esperti accreditano tra i 4 e i 6 miliardi all’anno. Proseguire però sull’analisi di quanto ci costa la chiesa italiana, in un momento di crisi acuta, non consente di vedere il centro del problema: la pervicace difesa di una posizione storica e politica della chiesa nel nostro Paese. Il tema è che il Vaticano come Stato indipendente è un assurdo dal punto di vista storico, è una bestemmia che impedisce qualsiasi vero e concreto passo in avanti sul cammino ecumenico, e imprigiona la cattolicità nel ruolo di un’organizzazione temporale anti democratica. Durante una sessione del Concilio Vaticano II un illuminato, assai anziano padre conciliare, proveniente dalla chiesa orientale, con soavità e fermezza pose all’attenzione dell’uditorio la proposta di chiudere il Vaticano, di trasformarlo in un museo e utilizzare San Pietro come basilica in cui tenere funzioni ecumeniche di riparazione per le divisioni sanguinarie operate da tutta la cristianità. Il papa sarebbe dovuto ritornare in San Giovanni in Laterano, smobilitando la corte e la Curia. Naturalmente la proposta non passò, ma per allora (e oggi sarebbe impossibile) la richiesta fece scalpore e nonostante il tentativo del cardinale di turno che presiedeva l’assemblea di spegnere sul nascere ogni dibattito, il confronto durò alcune ore. Che cosa è rimasto di quella profetica proposta? Nulla. Lo scisma silenzioso che da decenni si è abbattuto sulle chiesa, dimostra che la figura del Papa Re, la struttura rinascimentale della Curia, la modernizzazione degli strumenti alimentatori del consenso in chiave di diffusione e mantenimento non della fede ma del pregiudizio, continuano a essere un disastro. La sordità degli alti prelati, rispetto alle richieste che la chiesa si renda disponibile a essere sobria e per la sua salute essenziale e assai più magra, ha una ragione antica, che trova la sua spiegazione con la semplice constatazione che ciò che timidamente fu evocato in Concilio in materia teologica, in tema di visione della missione della chiesa nella città dell’Uomo, è stato travolto dalla millenaria esigenza di mantenere saldo il potere temporale. L’avvento delle rivoluzioni, delle grandi tragedie dell’800 e del ‘900, ha obbligato la gerarchia a rimodulare forzatamente appetiti, bulimia del potere, esenzioni e impunità. La sostanza però è che sotto il regno di Ruini la chiesa italiana ha ritrovato quella forza ideale e d’interdizione politica che le ha permesso di vivere alle spalle dello Stato Italiano, tornando a essere sfacciatamente ricca. I veri cattolici, non quelli che per tradizione, ignoranza, svogliatezza o interesse politico ed economico si professano fedeli apostolici romani, sanno benissimo cosa è avvenuto in questi ultimi vent’anni. La pubblicità per l’8 per Mille è l’esatta rappresentazione del vaticano pensiero: noi assicuriamo una rete di servizi, noi siamo moralmente più saldi di tutte le altre realtà sociali operanti in Italia, noi siamo il potere che da sempre agisce su questo suolo, quindi dovete sostenerci. Pochissime realtà della solidarietà cattolica, hanno avuto il coraggio di negare la propria faccia per questa strumentale operazione di marketing, dilaga invece il conformismo, quindi, la complicità nei confronti di un comportamento edonistico, vorace, egoista, simoniaco. Nella disperazione etica provocata dal conformismo e dall’ignavia, lo Stato contro natura Vaticano continuerà a persistere. E continuerà a impedire che la chiesa si liberi del suo sconvolgente passato, e che lo Stato italiano finalmente esca dall’adolescenza e cominci da adulto a camminare nella storia, autonomamente e liberamente.


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