Mentre Berlusconi resiste a dispetto dei più alti interessi del Paese, la crisi della politica che aggrava quella finanziaria, mostra il suo volto più drammatico, un governo in agonia a fronte di un’opposizione ancora troppo incerta, oggettivamente non in grado di rassicurare del tutto l’opinione pubblica. In queste fitte nebbie gli unici precisi messaggi giungono da alcuni settori economici, che non vedono l’ora di poter approfittare dell’attuale profonda incertezza per spingere alla macelleria sociale nascondendo le loro gravissime responsabilità, ma soprattutto è la chiesa cattolica che tiene la barra a dritta. Il potere forte della gerarchia cattolica è già oltre l’attuale fase di rimescolamento, sa già cosa dire e cosa deve fare. In tutti i modi sta portando avanti da alcuni mesi un mastodontico ripulisti degli ultimi anni di consociativismo con il berlusconismo e voilà, si attrezza come le è congeniale da secoli, ad attraversare la fase politica dando già precise indicazioni alle sue attrezzatissime truppe scelte. Le associazioni cattoliche sono pronte: al più presto via Berlusconi, ok se è necessario il governo tecnico, (anche funzionale a dare ancora un po’ di tempo) e poi avanti tutta, verso la grande coalizione, dove il terzo polo, leggasi UdC, pur con percentuali al di sotto del dieci per cento, sia il perno culturale. Negli ultimi giorni il papa insiste, dopo la filippica di Bagnasco al convegno di Todi, che in prima fila ci sono i valori non negoziabili, ergo, no a leggi sulle unioni civili, no al testamento biologico, no alla ricerca scientifica, no a toccare qualsiasi privilegio ecclesiastico, sì a un abbondante e ulteriore finanziamento alla scuola cattolica. Di tutto il resto, la gerarchia si cura poco, sicura com’è che qualsiasi governo nell’immediato e nemmeno sul medio periodo, oserà  mai avere una politica autonoma e sicuramente laica. Se la premessa è questa, cosa potremo mai strappare nei prossimi 2-3-5 e forse 10 anni? Sicuramente sarà bloccato il tentativo di smantellare il Welfare, e le persone disabili, le categorie più svantaggiate e ora sempre più ai margini, potranno contare su politiche differenti da quelle attuali. Anche per le persone migranti, le politiche d’integrazione, di riconoscimento della cittadinanza saranno più adeguate a un Paese civile. Non c’è alcun dubbio che una grande coalizione, (anche se il tema, lo sappiamo, non è strettamente legato all’alleanza con l’UdC, ma all’arretratezza delle sinistre italiane) confermerà la paralisi culturale e sociale rispetto ai diritti civili e di libertà. Forse, se l’Europa riuscirà a uscire dall’attuale impasse sul tema, grazie a una futura approvazione della Direttiva orizzontale sulle discriminazioni che ha iniziato il suo complicato iter nelle varie istituzioni, permetterà all’Italia di poter recepire norme contro l’omofobia e la transfobia, e poco altro. Davvero siamo consegnate e consegnati a questo destino cinico e baro? No, non è così. La gran parte della possibilità di un necessario ribaltamento della realpolitik che ci sta per investire, dipende solo da noi. Proprio all’apice di questa crisi di tutto il nostro sistema, si vede con chiarezza quanti danni hanno provocato al nostro Paese i conservatorismi di destra e di sinistra, del perché la nostra organizzazione sociale che è simile a ciò che sta avvenendo nel resto d’Occidente è così frustrata, abbandonata a se stessa, giudicata dalla politica e dalle gerarchie cattoliche in chiave moralistica, impedendo qualsiasi tipo di tutela e di aiuto. La retorica devastante sulle giovani generazioni, sul ridare fiducia all’economia, sulla necessità di collegare flessibilità a più lavoro, non ha alcun appeal perché l’Italia è una terra dove la convivenza civile è depressa da consorterie gelose del proprio potere, che si alimenta proprio del fatto che il diritto deve essere un favore, che la libertà deve essere condizionata, che la conoscenza e la scienza devono sottostare alla superstizione. Detta, quindi, così la battaglia che molti movimenti, anche aree politiche, conducono rispetto alla laicità, il diritto, la modernità, è un onorevole esercizio di testimonianza, scarsamente produttivo. E come già detto, concentrarsi sulla pericolosità di una futura alleanza tra centro sinistra e UdC, che nei fatti rimanderà sine die qualsiasi riforma civile, è un inutile perdita di tempo. Non sta lì il nodo, lì va in scena  la rappresentazione finale di una nostra devastante assenza, di una riduzione drammatica negli ultimi anni di presenza popolare dei movimenti di libertà. Per ripartire bisogna registrare, che da molto tempo una fase si è finita, che i locali ricreativi, i Pride, i digiuni, la raccolta di firme, l’apertura di registri per le coppie di fatto o per il testamento biologico, hanno rappresentato pregevoli strumenti di presenza civile, che alla fine non hanno portato risultati concreti. La solitudine depressiva che, la conquista del governo da parte del centro sinistra ampliato al centro potrebbe trasformare in disperazione, ci deve convincere che la scrittura dei programmi ha poca importanza, anzi che allo stato attuale dobbiamo aspettarci proposte persino peggiori di quelle scritte nel programmone del 2006. La politica da sola, non ce la fa, e disperazione nella disperazione, chi si candida a far piazza pulita della cosiddetta casta, se è possibile avanza proposte peggiori degli attuali leader. Questi circa vent’anni di berlusconismo di alternarsi di governi di centro destra e centro sinistra, hanno riportato la lancetta indietro, e le generazioni che sono cresciute nei partiti hanno respirato e condiviso, a parte molte e consolanti eccezioni, il conservatorismo illiberale, la diffidenza nei confronti dei diritti civili, la volontà di costruire immaginifiche società eticamente sostenibili. Nessuna scorciatoia è praticabile, alcun rituale rassicurante ci aiuterà. Bisogna costruire un nuovo ampio movimento trasversale, consapevole di agire in un terreno reso arido dall’avvelenamento continuo dei pozzi, che sappia con intelligenza e forme inedite di auto organizzazione rifondare la politica della civiltà e delle libertà. Uscire, chiudere, sciogliere gli attuali ambiti di azione e di rassicurante resistenza, sarebbe il primo atto da fare, ma si sa è il passo più traumatico. In politica, soprattutto se si vuole operare per la promozione dei diritti in Italia, bisogna esser pratici. Bisogna saper unire persone, idee, gruppi per ritrovare il popolo, per svolgere una grande azione culturale di responsabilizzazione individuale, su obiettivi arditi e su risultati immediati, con strategie di medio e lungo periodo. Più si rimanderà questa necessità e più il tempo della riforma civile si allontanerà. Unire significa superare conflitti interni defatiganti e dannosi, significa rispettare tutte le idee e adoperarsi per costruire sintesi convincenti per tutte e per tutti. Chi si attarda nelle passate e attuali scaramucce, può magari aspirare a visibilità comprensibilmente corroboranti per il proprio ego, ma non contribuisce alla necessità di adoperarsi per costruire un grande collettivo nazionale per i diritti, che sappia finalmente portarci risultati. Per tutte queste ragioni per me Equality Italia, è una piccola particella che può essere utile a costruire un corpo sociale vitale e positivo, che non parli di ascolto, rispetto, diritti civili, ma che da subito li pratichi. Speriamo che tante altre esistenti e future particelle, si uniscano.

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