Il 25 dicembre dell’anno zero nacque Gesù a Betlemme in una mangiatoia attorniato dalla Madonna e San Giuseppe, il bue e l’asinello, i pastori, e poi i Re Magi, con tanto di stella cometa a completare l’edificante quadro. Sappiamo che questo fermo immagine, arricchito dal Medioevo passando dal Rinascimento fino all’epoca Barocca e arrivando ai giorni nostri, in realtà è frutto di una sapiente ricostruzione ideologica della nascita del Cristo. Molte  sono le citazioni rispetto a religioni precedenti, a cominciare dalla datazione del 25 dicembre, così come il mito della vergine partoriente, stelle comete, fasci di luce e così via. In primo luogo conviene ritornare ai Vangeli per scoprire che il numero dei Magi non è conosciuto, ma come Matteo indica “alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme”. continua a leggere Poi per sistemazioni successive utili a stabilizzare una tradizione se ne individuarono tre, numero sempre simbolico, di diverso tratto somatico e colore della pelle, bianca, nera e gialla, e con nomi precisi, Gaspare, Melchiorre e Baldassare (splendente, il mio re è luce, Dio protegge la sua vita). Ma cosa erano per l’epoca i Magi (termine usato al posto del corretto Maghi, dai traduttori) che furono scelti dal Signore per andare ad adorare suo figlio appena nato? Erano figure assolutamente negative, definiti malefici dalla religione ebraica e perseguitati dal Tempio. I Maghi erano dediti alle scienze dell’epoca come l’astrologia, le pratiche mediche e la preparazione degli intrugli per lenire dolori o procurarli, tutto ciò collideva con la religione ufficiale, che naturalmente cercava di contrastarli, d’altronde la gran parte erano ciarlatani e non meritavano la fama di sapienti (termine che indicava fuori dalla tradizione ebraica, tutte quelle correnti di pensiero, di studio, di retorica, provenienti soprattutto da oriente). Perché mai, quindi, questi Re Magi, sono collocati tra i personaggi più importanti dell’Epifania? Ovvero nell’apparizione della stella cometa, la luce divina che indica la strada per trovare la culla? Prima di rispondere, facciamo entrare in scena i pastori, così amati quando nelle nostre contrade suonano con le zampogne gli inni natalizi, o così giustamente sostenuti quando si arrabbiano perché, per esempio in Sardegna, si vuole distruggere la loro presenza economica e culturale. I pastori ai tempi della nascita del bambin Gesù erano dei reietti, se i Maghi erano impuri e figli del diavolo, i pastori erano degli emarginati, ritenuti immondi, non avevano alcun diritto civile, non avevano alcuna possibilità di emancipazione, vivevano con le bestie e tali, nel senso più profondo della tradizione ebraica, erano considerati. Inoltre erano destinati al fuoco eterno, non accostandosi alla legge di Dio, considerati peccatori cronici, tra i primi della lista di proscrizione del Messia. E se dunque maghi e pastori erano considerati tra i peggiori lazzaroni dell’epoca, perché ai primi, propugnatori delle scienze occulte, è dato il compito di trovare Gesù Bambino e gli appare persino in sogno Dio per avvertirli di non tornare da Erode? Ai secondi, addirittura, “l’Angelo del Signore” (che significa Dio in forma da essere compreso dagli uomini) si manifesta a tal punto che “e la gloria del Signore li avvolse di luce”. Si  percepisce, quindi, che il messaggio profondo del presepe cristiano, nonostante tutte le sovrastrutture clericali, è fortemente rivoluzionario, indica che chi è stato posto fuori dal Tempio è avvicinato da Dio nello spazio pubblico. Fin dalla sua nascita Gesù rompe con la tradizione, non tanto quella ebraica, che è funzionale per comparazione, ma con l’intero sistema regolatore delle società in cui è destinato brevemente ad operare,  costruendo un radicale nuovo punto di vista. I pastori e i maghi, così com’è indicato nel percorso veritiero di una lettura attenta e informata dei Vangeli, vedono la luce perché sono nelle tenebre, mentre chi ha un posto al sole, gode di tutti i privilegi, splende nei lussuosi paramenti sacrali, quella luce non riesce a vederla. Oggi si potrebbe dire: il papa, come il sommo sacerdote di Gerusalemme, è accecato dalla sua mondana posizione politica e sociale. Nonostante l’abbruttimento ideologico e superstizioso che le gerarchie hanno operato nei secoli nel proporre una lettura insincera dei Vangeli, (da qui la non volontà di tradurli nella lingua dei popoli, e di giungere solo cinquant’anni fa alla messa finalmente comprensibile a tutte e tutti) il messaggio è ancora intatto.  Utilizzando gli strumenti di conoscenza che oggi ci forniscono le nuove tecnologie, la vastissima esegetica è a disposizione anche per chi  si avvina alla lettura dei Vangeli da neofita. Il Natale, evento di lampante simbologia sulla nascita del bambino Salvatore, avvenuta chissà davvero dove, chissà in quale data, chissà da chi accudito e amato, ha ancora una chance, per una ragione strutturale: tra le genti, nello scorrere millenario della sofferenza e dell’abiezione, la commozione intima per la bontà per il riscatto personale e collettivo continua ad alimentarsi. Non è male farsi trasportare, essendo consapevoli della incertezza storica, dalle luci sfavillanti, dagli alberi, dal presepe, perché questa maestosa fiaba non finisce con re e principesse che vissero felici e contenti, ma racconta che l’ingiustizia della croce che definitivamente dovrebbe trionfare con la morte, ha una sua diversa conclusione, sempre nella luce, sempre dalla parte delle ultime e degli ultimi. Per i non credenti, di cui è inutile citare l’enorme patrimonio letterario di attenzione e studio del messaggio essenziale del Galileo, il Natale può essere un giorno di festa. Il 25 dicembre è l’apoteosi dei valori laici e di inclusione, che per fortuna per vie autonome, purtroppo contrastate dalla gelosia clericale, si sono sviluppati e possono permettere, a chi è cattolico nel vero senso etimologico di condividere la radice comune dell’umanità moderna: credere nella bontà e nelle speranze delle donne e degli uomini. Per i cristiani, è sempre più necessaria una riflessione su quanto ci si è allontanati dal Natale e dall’Epifania, non per rinnovare arcaici riti di flagellazione, piuttosto per ritornare a esser coscienti di essere come i pastori di Betlemme. E, infine, un particolare pensiero immerso nello spirito dell’Annuncio rivolto alla classe dirigente cattolica. Siamo passati nel 2011 da Berlusconi al convegno di Todi, per approdare al governo Monti, e voi cari politici, sindacalisti, preti, imprenditori, leader associativi, potete ancora farvi guidare dalla Cometa, che vi permetta, almeno come i Re Magi, di ascoltare più che a proclamare, la vostra fede che usate come una clava, con un senso di appartenenza che non ha il sapore del luogo pubblico, ma della difesa disperata del Tempio. Buon Natale anche a voi!

 di Aurelio Mancuso settimanale gli Altri venerdì 23 dicembre 2011

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