Il nuovo magazine gay online ha scelto per il suo primo numero di dare ampio spazio alle mie idee e posizioni politiche, ringrazio la redazione per l’attenzione e spero che questa esaustiva intervista possa chiarire ancora meglio ciò che in questo momento penso sui temi dell’attualità politica in particolar modo sulla questione dei diritti civili.

Volevamo aprire il primo numero dell’edizione italiana della rivista on-line Yomagayzine, che è quella che state leggendo, Yomagayzine Italia, con una intervista a un personaggio politico italiano. La scelta è caduta su Aurelio Mancuso, già leader di Arcigay, promotore del gruppo gay interno al PDS /DS quando ancora il partito faceva finta di essere di sinistra, prima del fallimento chiamato Partito Democratico, personaggio discusso, amato e odiato. E’ fondatore di EQUALITY ITALIA. A nostro avviso, è l’unico, tra le persone che si dedicano alla promozione dei Diritti Umani e delle persone LGTB ad avere una mente politica, pensante, intelligente. Potrà non piacere, e non è detto che ci piaccia, ma per il suo impegno, il suo acume, la sua intelligenza, va rispettato.

Intervista di Paolo M. Minciotti

La situazione della comunità lgbt italiana è sempre più precaria, l’omofobia ha tinte forti e drammatiche e apparentemente nessuno fa niente. Che sta succedendo?

L’omofobia, anche quella violenta, ha due facce. La prima racconta di un generale abbruttimento della società, questo accade anche a causa della crisi economica, che rende più acuta la rabbia, l’odio, la solitudine. E’ un clima generale del Paese, che tra l’altro sconta un’arretratezza culturale di almeno trent’anni rispetto al resto d’Europa sui temi dei diritti civili, che alimenta la voglia di escludere chi è percepito diverso, fuori dalla vera cittadinanza. La seconda ci consegna un dato positivo: le denunce di aggressioni omofobe sono diventate la regola, cosa che solo fino a dieci anni fa non avveniva. Questo è merito di un lungo lavoro sociale e culturale svolto dal movimento lgbt italiano, che prima ha permesso l’emersione dalla clandestinità dell’omosessualità e oggi consente ai gay di prendere coraggio. Sottolineo che non siamo vittime ma testimoni di una rivoluzione gentile, che nonostante le risposte deludenti della politica, continua il suo percorso.

In tutto questo Arcigay dov’è? E cosa fa?

Di Arcigay non mi occupo più da due anni e mezzo, è la più grande associazione gay italiana, ed è evidente a tutti che sta attraversando un periodo complicato, di forti divisioni interne, che spero si risolvano con il Congresso nazionale di novembre. Certo il suo ruolo di guida e di proposta politica e sociale recentemente si è annebbiato, e non sarà sufficiente esprimere nei vari documenti che si confronteranno parole consolatorie o promesse di riscatto. Per Arcigay è importante ritrovare la sua vocazione riformista e concreta, abbandonando i facili slogan e le visioni emotive e inconcludenti. Naturalmente guardo a ciò con rispetto e il doveroso distacco di chi oggi è un semplice iscritto e fa altro.

E Lei cosa fa?

Io sono impegnato nella costruzione della rete Equality Italia, che opera nella promozione di tutti i diritti civili, quelli previsti dal Trattato di Lisbona. Perseguo l’idea che bisogna proporre il tema dei diritti unitariamente, da quelli per i migranti a quelli dei gay, da quelli per i disabili a quelli di genere. Insomma cambiare questo Paese significa proporre una piattaforma unica, chiara, dove tutte le persone che chiedono diritti lavorino insieme.

Si ha la sensazione che negli ultimi quindici anni si sia cercata solo la visibilità, ottenendola, ma niente di più.

L’attenzione sulla visibilità ha permesso alla comunità lgbt italiana di diventare finalmente un soggetto sociale importante. Non dobbiamo mai dimenticare che gli anni ’80 sono stati difficilissimi, soprattutto a causa dell’Aids, che rischiava di diventare uno strumento in mano agli omofobi che hanno tentato di dipingerci come untori. Per fortuna il lavoro del movimento e le successive determinazioni scientifiche hanno stoppato questo tentativo. Sembra tutto molto lontano, ma bisogna ricordare che tanti gay della mia e successive generazioni sono morti, la paura e l’angoscia ha avvolto la comunità lgbt per molto tempo e tutto questo rischiava di compromettere un riscatto tanto desiderato. Dalla fine degli anni ’90 invece la comunità ha trovato le parole, i modi, le iniziative giuste per costruire un nuovo futuro. Molto rimane da fare, molto è stato costruito, è importante continuare a essere chiari su alcune questioni, la prima fra tutte è che la visibilità è lo strumento decisivo per ottenere diritti. Il passo determinante che manca è quello di diventare una vera comunità, coesa, unita nell’obiettivo di voler pesare socialmente e politicamente.

Sono davvero necessarie tutte queste sigle che gridano, gridano e non fanno nulla ‘’insieme’’?

In tutti i Paesi dove si sono ottenuti matrimonio, unioni civili, leggi di tutela, il movimento lgbt è composto da centinaia di sigle molto diverse fra loro. Quello che manca in Italia è la capacità di mettere in secondo piano le differenze, mantenendo le varie identità, e lavorare per obiettivi comuni. Troppi interessi di bottega, stupide rivalità personali, interlocuzione dilettantistica con la politica, sono gli elementi che compongono l’evidente incapacità di ottenere risultati. In Italia si chiede a gran voce un profondo rinnovamento della politica, si parla di casta inamovibile, il movimento lgbt italiano non è immune da questa dura, a tratti ingenerosa, critica. Lo scollamento tra comunità e movimento è evidentissimo, e invece di continuare a proclamare programmi altisonanti bisognerebbe avere la capacità di ricucire uno strappo che dura da troppo tempo. Speriamo che con il tempo una nuova generazione liberi il movimento dal vecchiume teorico in cui immerso, sempre altalenante tra iniziative, Pride, parole comunicativamente ottime negli anni ’70 e necessità di fare cassa con feste, serate, attività commerciali, slegate da un progetto culturale complessivo.

Come può la persona lgbt italiana avere fiducia in un gruppo di persone che hanno’’fallito’’?

I gay italiani non dovrebbero aver fiducia di nessuno, ma assumersi direttamente la responsabilità di agire, di organizzarsi, di proporre cose nuove. Negli ultimi anni sono nati tanti siti, reti informali, gruppi d’interesse, che sono la manifestazione evidente di una volontà di emanciparsi da un vecchio modo di far politica, bisogna ora avere più coraggio, più fiducia nel fatto che i gay non sono insensibili, solamente non credono che questo tipo di movimento possa ottenere veri risultati. Mi piacerebbe prima o poi partecipare, tra i tanti, in modo semplice e personale, a una grande assemblea nazionale delle persone lgbt, promossa dal basso, intesa come occasione per risvegliare tutta la comunità. Le associazioni sono importanti, fanno anche molto, ma non sono più sufficienti.

E se veramente hanno ‘’fallito’’ non dovrebbero andarsene a raccogliere ortiche?

Non ho mai creduto nelle epurazioni personali, penso invece che occorra seguire il ciclo naturale della storia. Oggi tocca a una nuova generazione di gay assumersi la responsabilità di concludere questa lunga battaglia dei diritti iniziata più di quarant’anni fa. I padri nobili, facciano appunto la loro parte, ovvero si mettano a disposizione per non disperdere la memoria, senza la quale non c’è futuro. Sono i giovani che devono essere i protagonisti. Personalmente, per esempio non faccio più parte del movimento, non seguo alcuna vicenda interna, ho avviato una rete nuova fuori da questo contesto, e rapidamente nei prossimi anni, lascerò ad altri il compito di governarla. Si può fare politica in molti modi, si può mettersi al servizio, partecipando a dibattiti, scrivendo, pubblicando riflessioni, ma l’azione e la responsabilità politica devono esser affidate a persone nuove. Sarebbe molto utile che anche tanti altri leader lo comprendessero.

Posto che non crediamo che tutti abbiano fallito, anche se pensiamo che molti lo abbiano fatto, come recuperare il terreno perduto?

Non sarà facile avviare un vero rinnovamento, le resistenze sono moltissime, soprattutto si esprimono nel mantenere un tran tran che ormai mostra tutto il suo consunto volto. Come diceva Pasolini, i giovani non devono chiedere, devono occupare le stanze del potere. Lo devono fare non per mera volontà di “uccidere” i padri, devono proporre un progetto preciso. Io ho fiducia, perché conosco molte persone lgbt preparate, fresche, con grande volontà d’impegno, dentro e fuori le associazioni. Bisogna però prendere coraggio, esser persino maleducati, e agire con grande determinazione. Non c’è un tempo perduto da recuperare, perché questo psicologicamente porrebbe le azioni ancora con uno sguardo al passato, c’è invece una nuova storia da scrivere.

Il PD dirà ancora una volta che approverà una legge pro-lgbt per poi non fare nulla, come i suoi predecessori?

Scommettere oggi che nel prossimo Parlamento sarà approvata una legge sulle coppie gay o sull’omofobia è un vero azzardo. Per la prima volta il PD esprime una posizione chiara: unioni civili di tipo tedesco. Non è stato facile arrivarci, la battaglia interna è stata durissima, nonostante che tra iscritti ed elettori del PD sia maggioritaria l’ipotesi del matrimonio gay. Bersani, nonostante le posizioni retrive di alcuni esponenti PD, ha tenuto la posizione. Ora bisogna attendere la formazione delle alleanze per capire se questo tema sarà davvero finalmente assunto. Ci sarebbe bisogno di un movimento lgbt assai determinato, non solo a parole, nel chiedere il matrimonio, cercando così di sventare ipotesi come i DICO. Molto dipende appunto anche dai gay italiani, che devono impegnarsi a fondo.

Perché dovremmo fidarci del PD e dei suoi alleati?

Non bisogna fidarsi di nessuno, non aiutano richieste con il cappello in mano, anzi è necessario un atteggiamento determinato e duro. Non facciamoci prendere in giro nemmeno da chi, per evidente calcolo politico e populismo così in voga oggi, agita la bandiera del matrimonio gay, senza però poi far nulla di concreto. E’ davvero un periodo difficile, non sappiamo con quale legge elettorale, con quali alleanze, con quali proposte si presenteranno i partiti. Gli omosessuali italiani devono imparare a muoversi come una vera lobby sociale, puntare su chi probabilmente vincerà le elezioni, farsi sentire più che con manifestazioni, con azioni mirate e di cui siano protagonisti non i rappresentanti delle associazioni, ma le coppie, tante coppie, in tutta Italia. Nel 2006 Prodi promise i Pacs, sappiamo com’è andata a finire. Nel 2008 circa un milione di persone, tra cui tanti gay, non hanno votato il centro sinistra proprio a causa di quella delusione. Il voto è la nostra arma vincente, che però dobbiamo saper far pesare prima delle elezioni, non dopo per reazione. Così si comportano tutti i movimenti lgbt del mondo.

E di Lei?

Come rispondere a questa domanda senza apparire presuntuosi? Semplicemente so di essere una figura che fa discutere, che con le sue posizione non ortodosse suscita forte dibattito all’interno e all’esterno della comunità. Mi riconosco il pregio di esser sempre stato in prima linea a viso aperto, sempre pronto a discutere, confrontarmi, ascoltare. So di apparire a volte spigoloso e non ho mai nascosto il mio giudizio duro su com’è organizzato il movimento lgbt italiano, e ho tentato di riformare profondamente Arcigay, pagando il fatto di voler eliminare posizioni di potere e di rendita che ormai dovrebbero essere il passato. Per queste ragioni non sono amato dall’establishment e invece apprezzato da molte persone lgbt. Il mio tratto personale, sempre teso ad aprire la comunità ad altri mondi, costruendo alleanze tra movimenti differenti che s’impegnano per i diritti civili, è sempre stato vissuto come anomalo rispetto alle liturgie consolidate. In concreto di me non è necessario “fidarsi”, si sa bene come sono e, quindi, condividere o no, le mie idee, il mio lavoro

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