Il fondatore di Equality Italia Aurelio Mancuso replica all’intervento di Daniele Viotti “Perchè i gay del Pd non vogliono i matrimoni gay”.

Ieri su GAY.TV abbiamo pubblicato una lettera aperta di Daniele Viotti, militante Pd e portavoce di  “Vorrei ma non posso – Campagna per il matrimonio omosessuale in Italia“. La lettera, che abbiamo titolato Perché i gay del Pd non vogliono i matrimoni gay? ha avuto una prima risposta: ecco cosa risponde Aurelio Mancuso fondatore di Equality Italia e militante PD a Daniele Viotti.

Non so in quale pubblico dibattito, presa di posizione, scritto giornalistico Daniele Viotti abbia tratto la conclusione che il sottoscritto sia contrario o perlomeno non convinto della richiesta del matrimonio civile esteso alle coppie gay. Ricordo, ormai come un ritornello consunto, che sono stato il primo in questo Paese a spostare l’asse politico della più grande associazione gay italiana, proprio sul tema del matrimonio. Fino allora si sperimentarono campagne sulle unioni civili (anni ’90) e poi sui Pacs (dalla metà degli anni 2000). Mantenere ferma questa richiesta, oltre a quella delle adozioni, è un dovere per tutte e tutti noi. Ora arrivano le Primarie del PD e come ogni semplice iscritto (non ricopro alcun incarico dentro questo partito) mi sono schierato per un candidato, nella fattispecie Pierluigi Bersani, che come è noto ritiene le unioni civili di stampo tedesco un concreta possibilità per avviare un processo di riforma civile. Su questo punto, il Segretario del PD ha raggiunto una sintesi con i suoi sostenitori, che come sappiamo provengono da differenti culture politiche, alcune delle quali solo fino a qualche tempo fa, di unioni omosessuali non volevano sentirne parlare.

Anche Matteo Renzi ha avuto le sue difficoltà, prima personali e poi naturalmente anche di raggruppamento, per giungere alla sua proposta di unioni di stampo inglese. Sono, siamo soddisfatti? Proprio per niente, perché caro Daniele, che come me sei iscritto al PD, converrai che le mediazioni politiche sono costitutive dell’agire tra i partiti, alleanze e nelle istituzioni, ma come gay non dobbiamo mai rinunciare alla nostra identità personale e sociale. Si può scegliere di aderire ad altri partiti che con chiarezza hanno proclamato la loro posizione pro matrimonio, nella fattispecie Sel e IdV, oppure come abbiamo scelto tu ed io, almeno per il momento, condurre una battaglia interna quotidiana dentro il maggiore partito, essenziale dal punto di vista numerico, affinché in Parlamento siano approvate leggi sui diritti civili.

Non è solamente una questione di numeri, pure di qualità del conflitto che da tanti anni abbiamo ingaggiato per tentare di cambiare profondamente tutte le sinistre, che moderate o meno, coraggiose o reticenti, hanno perso parecchi treni, e le persone lgbt lo sanno bene tanto che serpeggiano una diffusa sfiducia e profondo rancore. Per ora il matrimonio gay è una proposta che raccoglie un consenso minoritario dentro il gruppo dirigente del Pd, tocca a noi far si che diventi maggioritario così come lo è già nel popolo del centro sinistra. Non m’interessano gruppi di pressione interni, ulteriori correntine, magari di soli gay, perché sono strade già percorse che non hanno portato alcun significativo risultato. Dobbiamo costruire un’azione unitaria con il popolo del PD e più in generale con tutte le persone che vogliono davvero raggiungere quest’obiettivo. E che il problema esista è evidente, poiché degli attuali e probabilmente futuri candidati alle primarie del Pd nessuno parla di matrimonio. A questo punto però bisogna intendersi sull’autonomia dei ruoli: il movimento omosessuale deve saper fare il suo mestiere dentro la comunità lgbt e nella società, costruendo un vasto consenso, che al momento non c’è; ai partiti tocca il compito di fare proprie proposte e farle approvare.Come si può, quindi, far cambiare opinione a partiti come il PD?

In questi pochi anni lo abbiamo portato da posizioni pseudo DICO alle unioni civili, e più la comunità sarà forte e incidente sul matrimonio e più si avvicinerà il tempo di un successivo passo in avanti. In entrambi i casi esiste un problema non rinviabile: il rinnovamento delle classi dirigenti dei partiti e  pure del movimento lgbt, ancora troppo oscillante tra un movimentismo anni ’70, e spendere molte energie sull’aggregazione ludica e per canonici momenti politici, tra cui il Pride. Il conservatorismo non aiuta mai l’avanzare di proposte innovative, figuriamoci per conquistare un forte consenso sul matrimonio gay. Dal mio piccolo osservatorio, di semplice iscritto del PD e di non appartenente ad alcuna associazione del movimento lgbt, opero in ambito politico e sociale di rete su tutti i diritti civili, non mi permetto di fornire soluzioni, solo suggestioni, e la principale che mi viene da esplicitare è che è difficile che strumenti incerti, litigiosi, conservatori riescano a premere su una politica che sta vivendo la fine di un ciclo. E se da tre anni si attende una campagna sul matrimonio gay da parte del movimento lgbt, questo significa che è per ora concretamente, al netto dei proclami, non è una priorità. In  vista di tutte le tornate elettorali che si terranno in questi mesi, manca una voce forte, univoca, ripulita dai personalismi e piccinerie, e non si può imputare ai partiti. Di tutto questo, son certo che Daniele sia cosciente, anche perché sa che la bella campagna lanciata da Torino, la ritengo una piccola preziosa fiammella, che spero non sia spenta dall’alito gelido del conformismo. Ritengo che solo la comunità lgbt possa scompaginare, imporre un cambiamento radicale al movimento, e ciò inciderebbe fortemente anche sui partiti, pure sul PD.

Aurelio Mancuso

 

Clicca qui per leggere l’articolo originale su Gay.tv

 

 

Share